Alla luce delle criticità, dei paradossi e delle difficoltà fin qui delineate nell’ambito dei programmi tradizionali di educazione alla sostenibilità, di quali altre risorse disponiamo per lo svolgimento di quel compito di vitale importanza che è preparare noi e le generazioni più giovani ad affrontare sfide climatiche ancora ignote, come attori responsabili e resilienti? 

Innanzitutto, come abbiamo fin qui cercato di dimostrare, è importante che per ogni singola azione educativa avvenga un’analisi consapevole delle metodologie adottate, degli attachments che tutti i soggetti coinvolti immancabilmente mettono in gioco, delle conflittualità che questi incontri generano inevitabilmente – essendo diversi gli interessi, le inclinazioni, le esigenze sociali o di sviluppo dei soggetti implicati – e dei bias dell’antropocentrismo e del modello culturale dominante. Questa azione di riconoscimento non è soltanto preliminare al lavoro didattico, ma è costitutiva del lavoro stesso, poiché una volta che ci disponiamo a comprendere noi stessi in una prospettiva eco-centrica come enti tra gli enti, ugualmente coinvolti nel fluido stabilirsi e ri-stabilirsi delle omeostasi planetarie, ci troviamo in un progetto privo di centro, o ancora meglio in un “apprendere sui confini”. Da questa posizione possiamo porci a interrogare i limiti e le relazioni tra noi e gli altri soggetti, a rinegoziare i contorni di fatti e valori per estenderli alla globalità autentica, inclusiva di tutto l’esistente, a trasformare attivamente e creativamente il nostro modo di pensare ecologicamente eliminando le barriere tra i saperi e le pratiche. 

Nostre guide in questo processo di trasformazione del sapere e del modo di pensare provengono dalle filosofie che da decenni ormai si pongono come controcanto delle narrative dominanti. Tra queste voci sicuramente emergono quelle della deep ecology, dell’ecofemminismo, dell’ecologia sociale, dell’etica della terra – filosofie del “cambio di paradigma”, accomunate dalla contrapposizione di una comprensione olistica del pianeta e della nostra posizione in esso a quella strumentale e individualistica dominante.  

L’ecologia profonda, nata con Arne Naess, invita a una consapevolezza ecocentrica autentica, dove ogni illusoria separazione dalla Natura è cancellata dal ritorno in essa, come il tutto in cui ritroviamo il nostro centro e la nostra vera essenza di enti profondamente relazionali tra innumerevoli altri enti, radicati nella comune terrestrità. 

A partire da questa posizione radicalmente anti-antropocentrica può prendere vita quella che il filone dell’etica della terra chiama “democrazia della biosfera”, perché la nostra comunità di parti tra loro interdipendenti (come tradizionalmente si definiscono le società umane) può e deve estendersi a includere i suoli, i corsi d’acqua, le piante, gli animali. Tra questi soggetti intercorrono relazioni simbiotiche, invece che competitive, per cui la responsabilità umana si traduce in termini di cooperazione (non di utilizzazione o “gestione” delle risorse) e di comprensione (non di obbligo morale) intellettuale, emotiva ed estetica del valore di questo “vivere insieme” nella comunità biotica.  

Soltanto grazie a questa consapevolezza possiamo esperire il nostro essere al mondo in maniera autentica, profondamente corporea, materiale, sensoriale, emozionale, liberandoci dalla struttura dualistica che permea il paradigma culturale che portiamo con noi, ereditato e trasmesso di generazione in generazione, e mettendo in dubbio una descrizione meccanicista, riduzionista, determinista, razionalista della realtà, che ha svolto un ruolo importante nell’alimentare l’umano sfruttamento e dominio su tutto ciò che è Altro. Cancellate le dicotomie essenzialiste (natura/cultura, mente/corpo, uomo/donna, ragione/materia, razionalità/animalità, soggetto/oggetto, Io/Altro), si sostituisce all’amministrazione paternalistica l’azione preoccupata (concerned), compassionevole, familiare e calorosa della Cura. La scelta di un’etica della cura è scelta di un’etica autenticamente globale, in cui ogni individuo è responsabilmente implicato nel benessere di ogni altro, ove ogni conflitto non è cancellato nell’accettazione relativista della pluralità delle opinioni, ma è visto come dialetticamente essenziale per giungere a sempre nuove, creative e adattive trasformazioni, di cui ogni ente – persona, società, animale, pianta, suolo, corso d’acqua – ha diritto.

Queste e altre voci sono, a nostro avviso, fondamentali per approfondire gli intenti e per delineare le prospettive future dell’educazione alla sostenibilità, oltre che per trasformare il modo con cui guardiamo e agiamo nel mondo, rendendo conto della sua complessità e della sua natura profondamente relazionale, lasciando spazio a ciascun essere vivente e a ciascuno di noi di essere attore del cambiamento. 

Lorenzo Cervi