Janusz Korczak (Varsavia, 22 luglio 1878 – Campo di sterminio di Treblinka, 6 agosto 1942) è stato un educatore, scrittore e medico polacco di origine ebraica, vittima del genocidio nazista. La pedagogia istituzionale ha un debito, gradevole, nei suoi confronti.

Per Korczak tutto dovrebbe partire dalla convinzione che un bambino è un buon esperto della propria crescita e della propria vita. Si realizza attraverso forme organizzative minime e quotidiane.

Leggiamo, e traduciamo dalla versione francese[1], un piccolo dialogo:

  • Elena, sai che sei un essere umano piuttosto agitato?!
  • Sono un essere umano?
  • Certo. Credevi di essere un cane?
  • Sono un essere umano – dice Elena dopo aver riflettuto -. Sono Elena. Sono una bambina. Sono polacca. Sono figlia della mamma. Sono di Varsavia … Ma sono un sacco di cose, io!

Questo dialogo permette di illustrare il paradosso educativo del diritto all’identità plurale.

Ci sono persone che non arrivano a questo intreccio, rimanendo sempre piccoli. O meglio: come bambini piccoli. Minori perché minorati? Questa situazione è drammatica. Lo è perché non è sostenibile. Korzac probabilmente diceva a Elena: “vedi quante cose sei? Sei una bambina, sei polacca, sei un’abitante di Varsavia, figlia dei tuoi genitori, sei tutte queste cose … sei tante Elene e sei sempre Elena”.

L’identità plurale cresce aggiungendo, incrementando, e non chiudendosi a difesa e barricandosi in nome di quello che riteniamo essere il patrimonio dell’identità. L’identità bloccata vive il conflitto come difesa della situazione quo ante. L’identità plurale accoglie il conflitto come segno di incontro con novità interessanti, per le quali è bene mostrare interesse.

Mario Lodi nel 1983 pubblicava un libro il cui titolo è La scuola e i diritti del bambino. Leggiamo: “La prima cosa che il bambino <impara> dopo avere con il primo pianto iniziato la vita extrauterina, è che lui esiste. Tale scoperta è tanto più gioiosa e precoce se l’adulto, in questo caso la mamma, farà sentire al bambino, con il calore del corpo, il profumo del latte e un insieme di sensazioni piacevoli derivanti dal rapporto affettivo, di essere immerso in un universo globalmente buono da cui a poco a poco attraverso scoperte e prove sempre più precise egli distinguerà sé dall’altro”[2].

Arrivano le parole. Dove incontriamo e dove desidereremmo incontrare una certa parola? Con quali altre parole?

 “[…] una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena […].

Prendo ad esempio la parola ‘sasso’. Cadendo nella mente essa si trascina dietro, o urta, o evita, insomma, variamente si mette in contatto:

con tutte le parole che cominciano con s ma non continuano con a, come ‘semina’, ‘silenzio’, ‘sistola’;

con tutte le parole che cominciano con sa, come ‘santo’, ‘salame’, ‘salso’, ‘salsa’, ‘sarabanda’, ‘sarto’, ‘salamandra’;

con tutte le parole che rimano in asso, come ‘basso’, ‘masso’, ‘contrabbasso’, ‘ananasso’, ‘tasso’, ‘grasso’;

con tutte le parole che le stanno accanto, nel deposito lessicale, per via del significato: ‘pietra’, ‘marmo’, ‘mattone’, ‘roccia’, ‘tufo’, ‘travertino’, ‘peperino’;

eccetera”[3].

Opere di Janusz Korczak edite in italiano:

Come amare il bambino(1920),  1996, Milano,  Luni.

Il diritto del bambino al rispetto(1929),  2004, Milano, Luni.

Quando ridiventerò bambino(1924),  1995, Milano,  Luni.

Diario del ghetto, 1997, Milano,  Luni.


[1] Korczak J., (1997), Le droit de l’enfant au respect, suivi de Quand je redeviendrai petit et de Journal de Ghetto, préface de Tomkiewicz S., Paris, Robert Laffont/Unesco, p. 195.

[2] Lodi M. (1983), La scuola e i diritti del bambino, Torino, Einaudi, p. 3.

[3] Rodari G. (1973), Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie, Torino, Einaudi, pp.7-8.