La Tana del Coniglio non è un semplice saggio sui disturbi del comportamento alimentare: è un profondo racconto umano che esplora le relazioni, la difficoltà di fidarsi e di essere ascoltati. Le storie raccontate, sotto forma di intervista, rivelano come i disturbi alimentari possano emergere come una richiesta silenziosa di aiuto, un modo per affrontare problemi emotivi profondi che spesso passano inosservati a chi sta vicino a chi soffre.

Molti dei protagonisti, come Giulia, una giovane donna di ventitré anni, iniziano il loro percorso di sofferenza con il desiderio di essere “visibili” ai propri familiari. Giulia spiega come la sua anoressia non fosse solo una fuga dal dolore, ma un tentativo di far emergere la sua sofferenza agli occhi di chi non l’aveva mai notata. Per lei, diventare magra era un modo per attirare l’attenzione e ricevere finalmente quella comprensione emotiva che mancava: “Per tutta la mia vita mi sono sentita triste, arrabbiata, infelice (…) questo malessere non veniva capito quindi sono arrivata al punto di pensare che, forse, se mi avessero vista fisicamente malata si sarebbero preoccupati per me e avrebbero compreso il mio stato d’animo. Inconsciamente, più diventavo magra più c’era la possibilità che gli altri intercettassero il mio dolore”.

Nel corso dell’intervista, emergono dinamiche familiari complesse, come il rapporto difficile con un padre autoritario e una madre più presente ma altrettanto incapace di cogliere il dolore profondo della figlia.  Fin da piccola, ma soprattutto da adolescente, ricorda: “Mi sentivo sovraccaricata da questioni che dovevano essere loro (i genitori) ad affrontare e che invece diventavano mie. (…) Pensavo a tutto tranne che a me stessa e non avevo una vita sociale. In un certo qual modo vivevo la società con senso di colpa, cioè vedevo i miei genitori sempre impegnati nel lavoro, che non avevano tempo per gli amici (…) perciò anche io credevo di dover studiare o aiutare in casa senza potermi permettere un’uscita con gli amici o una pizza”. Il cibo, in questo contesto, diventa il mezzo attraverso il quale Giulia cerca di comunicare e la malattia è un silenzioso, ma potente, appello alla comprensione e all’amore dei propri cari.

Il percorso di cura di Giulia, dopo un lungo periodo di sofferenza, culmina in un momento simbolico: “Ho mangiato una banana, e ho scoperto che sa di vita.” Questo gesto liberatorio segna l’inizio di una nuova fase della sua vita, quella della guarigione e della consapevolezza.

Il messaggio che emerge da queste storie è che i disturbi del comportamento alimentare sono radicati in un disagio emotivo che va riconosciuto e affrontato tempestivamente. Come sottolinea lo psichiatra Leonardo Mendolicchio, intervenire precocemente è fondamentale per evitare che il disturbo si radichi e diventi irreversibile. I disturbi alimentari, infatti, rappresentano una delle principali cause di morte tra adolescenti e giovani adulti, ma spesso rimangono invisibili, come nel caso di Martha, Benedetta, Giulia e molti altri.

Se solo i segnali di sofferenza fossero stati ascoltati in tempo, forse molte tragedie avrebbero potuto essere evitate. Il cibo, in questi casi, non è solo nutrimento, ma diventa l’unico messaggio possibile, atto ad esprimere un malessere troppo profondo per una comunicazione verbale comprensibile agli adulti, che troppo spesso non riconoscono e valutano adeguatamente la sofferenza e la richiesta di aiuto a loro indirizzate.

Ilaria Bignotti Faravelli, psicologa

Fialdini F., con Mendolicchio L., Nella Tana del Coniglio. Quando la lotta con il cibo diventa un’ossessione, ed. Rai Libri, Roma, 2023.