Mercoledì 22 aprile la Camera ha approvato all’unanimità la risoluzione sulla Relazione sul sistema di protezione dei testimoni di giustizia, già approvata nell’ottobre 2014 dalla Commissione parlamentare Antimafia.
L’obiettivo è di ottenere un testo organico che meglio definisca l’identità dei testimoni di giustizia (fino al 2001 equiparati ai collaboratori di giustizia), garantendo misure di tutela e di assistenza economica più mirate, volte a migliorare la fase del reinserimento lavorativo. C’è inoltre la volontà – come ha spiegato Davide Mattiello, parlamentare indipendente del Pd e coordinatore del V Comitato della Commissione antimafia che ha messo a punto la Relazione – “di mettere loro a disposizione un Comitato di assistenza e un referente unico, che aiutino il testimone a curare al meglio le proprie attività economiche e le proprie difficoltà psicologiche”, a riappropriarsi della sua famiglia di una vita libera e autonoma, attraverso l’istituzione anche di un percorso dedicato soprattutto alle donne e ai minori che intendono rompere con contesti criminali.L’attuale previsione normativa in materia di testimoni di giustizia, la Legge 45/2001, presenta numerose lacune sia sotto il profilo della sicurezza che del soddisfacimento di bisogni materiali, psicologici, economici e sociali delle persone inserite in un programma di protezione e tali in quanto hanno deciso di collaborare col sistema di Giustizia, aprendosi ad affermazioni e deposizioni che denunciano contesti criminali e devianti e le dinamiche di coercizione e violenza in essi presenti. In questa prospettiva, ciò che fino ad oggi si è purtroppo potuto rilevare è stato, da un lato, il mancato riconoscimento della condizione esperita da chi decida di testimoniare e, conseguentemente, il mancato sostegno al soggetto da parte della collettività in relazione alla scelta fatta. Dall’altro lato, vi sono una serie di problemi concreti che riguardano non solo la condizione del singolo testimone ma dell’intero nucleo familiare: mogli, mariti e soprattutto figli, questi ultimi spesso bambini, privati di qualunque prospettiva futura e della fondamentale fiducia nei confronti dello Stato. Essi si trovano più spesso a rinunciare al proprio progetto di vita, affrontare la perdita della propria attività lavorativa oltre che la disgregazione del nucleo familiare e della propria sfera amicale, costretti ad abbandonare il luogo di origine e nell’impossibilità di creare nuovi veri legami a causa dell’identità di copertura loro assegnata. Questi aspetti, come è facilmente intuibile, riguardano i minori in modo ancor più marcato, trovandosi a dover vivere una condizione di instabilità, precarietà affettiva e relazionale, oltre che evidente vulnerabilità ed insicurezza, della quale faticano a comprendere le motivazioni. Va osservato che fino a quando questi aspetti rilevantissimi e centrali non verranno adeguatamente considerati dalla legge italiana, la scelta di ribellarsi alle mafie è destinata a rimanere la scelta di pochi coraggiosi. Con la Risoluzione approvata il 22 aprile, il Governo si impegna ad avviare ogni iniziativa utile in termini di tutele e modalità di sostegno, atte a risolvere i problemi più volte evidenziati dalla Commissione Antimafia; ma, va aggiunto, tutto ciò non potrà essere pienamente raggiunto finché le dichiarazioni di intenti non saranno trasformate in legge, e quest’ultima poi applicata nella sua completezza e specificità di previsione. In tal senso, questa prima approvazione configura sicuramente un momento importante e l’inizio di una reale attenzione verso tali problematiche; ma il superamento dell’attuale “gap” fra assunti teorici, o di principio, e concreta realizzazione degli stessi necessita di essere realizzato pienamente – e possibilmente in tempi rapidi.