Ideazione Ryan Murphy, Brad Falchuk e Steven Canals
Produzione: FX
Pose potrebbe sembrare, a prima vista, patinato, nel significato figurato di “ lezioso, manierato, che possiede una bellezza solo esteriore”. Indubbiamente lo è. Ma secondo quella accezione del termine che indica la patina come “l’effetto medesimo prodotto dal passare del tempo” e ancora di più se vediamo il temine in un rapporto circolare tra quella patina avente valore di significante ed a cui soggiacciono fondamentali significati sociali e culturali legati ai processi di identizzazione. Secondo questo sguardo più complesso Pose è patinato. Ma, azzardo, forse una serie legata a quel periodo non lo sarà mai troppo se vestiamo, è banale dirlo, il rapporto tra estetica e confini sociali che si sono espressi tra gli anni 60 e 80.
Per me è stato estremamente interessante scoprire la ball culture nata negli anni 60 di cui ignoravo interamente l’esistenza. Ecco, prima di entrare nel vivo, alcune informazioni storiche che sono anche ambientazione. Prima di continuare un consiglio. Cercate la colonna sonora della serie ed ascoltatela mentre leggete. Il legame tra musica, trasformazioni sociali, identità dei personaggi è fondamentale in questa serie.
Immaginate di essere negli anni 60 negli Stati Uniti, a New York. Volendo peccare di precisione ci troviamo in quel quartiere poi entrato nell’immaginario come ghetto per eccellenza: Harlem. Il periodo che stiamo vivendo e ad altissimo tasso di razzismo. In quel periodo essere una/una non bianc* non è facile. Ma se addirittura sei pure gay o peggio ancora un trans non devi calpestare le vie dei bianchi. Punto e basta. Una parte della comunità LGBT sente la necessità di trovare un proprio spazio, una ritualità, una forma che crei una famiglia e una controcultura che li faccia sentire parte di qualcosa più grande. O forse, semplicemente, essere se stess* e potersi sentire accettat*. Nascono così le house, organizzazioni informali che sostituiscono le famiglie di sangue in cui i reietti si organizzano e trovano supporto. E come in una famiglia abbiamo una strutturazione interna, ruoli e una gerarchia. Contemporaneamente nascono le ballroom. Una moltitudine di persone che a tardissima notte, per evitare di incontrare la polizia, escono dal nascosto e si incontra dentro locali per organizzare delle feste e delle sfide interna tra house. Come si concorre? Attraverso balli e sfilate. Cosa si vince? Il riconoscimento ed il rispetto della comunità ed una parvenza di eternità. Le sfide diventano anche un modo per le differenti house di risolvere le proprie controversie ed inimicizie in forma non violenta. Ma anche, ribadisco, un modo per essere altro.
Certo il fenomeno è molto più complesso. Nelle prime ballroom chi era di pelle nera si truccava di bianco per essere più vicin* ai canoni imperanti, e così anche il vogueing ( voguing), uno stile di danza originale inventato nelle ballroom, ed i modelli a cui ci si ispirava per i balli e le sfilate erano mutuati da Vogue e da quel mondo a cui nessun* di loro avrebbe mai potuto accedere. E poi abbiamo l’AIDS che in quegli anni stava mietendo vittime all’interno della comunità. Un ulteriore marchio su chi è già fortemente etichettat*. Ed ecco costruito un mondo parallelo in cui a tutt*, più o meno…, era possibile accedere a concorrere al gioco dell’essere accettat* e riconosciut* come più brav*. Lo so, gli asterischi sono tanti, e rendono difficile la lettura. Una difficoltà minima se pensiamo a quella affrontata coraggiosamente dalla comunità LGBT dell’epoca per trovare una propria declinazione riconosciuta.
Entriamo nella storia. Il coraggio di essere se stess*, di sfidare un’intera società violenta, il dramma della morte e dell’amore, sono la benzina di questa serie che in circa 18 ore di visione, suddivise in 2 stagioni, tiene ancorati allo schermo. Davanti a noi le storie della ricerca di un senso e di un’umanità delle e dei differenti protagonisti. L’intreccio riesce a non inciampare, se non poche volte, nel melenso. Non censura, non cede alla facile tentazione del voyeurismo e soprattutto non idolatra ne gioca col pietismo. Pose offre un’immersione di umanità che attraverso la somma di piccole storie ci racconta la grande Storia di un periodo meno conosciuto.
E forse anche per questo che molti adolescenti ci si ritrovano. Nel prendere le parti di chi non si sente accettato e che lotta contro una società avversa alla propria libertà di identizzazione. Di chi si trova affoga in un senso di smarrimento dovuto alla necessità di lottare contro un moloch nonostante la quasi certezza di perdere. La scacchiera della storia mette in gioco diversi personaggi suddivisi principalmente in due house. Ed è la famiglia ad essere un altro degli oggetti della narrazione e contemporaneamente stile narrativo. Oggetto in quanto dopo poche puntate ci ritroviamo dentro tensioni, giochi di posizionamento, figliolanze, fratellanze e sorellanze con le naturali necessità di uscita dal proprio nucleo per creare il proprio, movimenti di omeostasi, separazioni e nuovi incontri. Ma è anche una forma di racconto in cui l’intimità familiare, nei suoi giochi di soglie mutevoli, diventa lo spazio della relazione con lo spettatore, una fluttuazione narrativa che spesso ti fa sentire dentro le case.
Uno degli altri nuclei ventrali è, naturalmente, il corpo. Da un lato spazio di scoperta. Dall’altro assurge a luogo eletto di lotta, arma utile con cui appropriarsi di prossemiche sociali e culturali. Si fanno le rivoluzioni col corpo, in varie declinazioni. Si rischia la vita col proprio corpo. Corpi che giocano con gli eccessi culturali, innovazioni della moda che entrano nel mainstream, superamento di barriere, ricerca della forma perfetta e annullamento, malattie e morte, corpi trasformati e distrutti perché non accettati.
La serie riesce a raccontare una polisemia di sguardi sul movimento: aggregazione informale di lotta non violenta, una riserva, un mondo parallelo. Le letture sono complesse e molteplici. La serie ne racconta alcune, ne suggerisce altre. In tutte non si avverte giudizio. Ogni storia personale, ogni scelta politica, ha le sue ragioni e deve essere rispettata anche per il solo fatto di riuscire ad esistere. Come se il narratore fosse sempre dalla parte del personaggio di cui racconta in quel momento. E questo è un bel lasciare allo spettatore che si sente disorientato e proprio per questo chiamato a prendere una posizione.
La musica, infine, e la linfa vitale che nutre costantemente questo corpo narrativo che è Pose. Una colonna sonora precisa e accurata capace di accompagnare lo spettatore a vivere al meglio quel periodo storico, che si offre come incipit per una approfondimento del rapporto tra musica-underground-mainstream-Storia dell’epoca.
Chiudo semplicemente mettendo la mani avanti:Non è un documentario attenzione, ma un racconto con le proprie libertà. Da vedere con questa apertura di sguardi e curiosità.
Rilanci
Jeffrey Eugenides, Middlesex, Mondadori
Stephan Elliot, Priscilla- La regina del deserto
Per approfondire
Il video documentario a cui la serie si ispira
https://www.youtube.com/watch?v=yNE6nv3-l1w
Un approfondimento su Paris is burning
https://www.internazionale.it/opinione/daniele-cassandro/2017/02/25/paris-is-burning
Il video di Madonna che ha fatto conoscere il vogueing al pubblico mondiale