Iniziamo la rubrica con un tema caldo, anzi caldissimo – caldo come l’ennesima estate bollente capace di riportare tutti, chi più chi meno, all’appuntamento annuale con la mole di fatti e informazioni inerenti ai cambiamenti climatici e al surriscaldamento globale. Non c’è bisogno di riportare i dati che i vari media diffondono quotidianamente circa le ondate di calore, le cupole di calore, le isole di calore urbano, che con l’arrivo dell’estate colpiscono l’emisfero settentrionale, e le relative minacce che esse comportano alla vita e alla salute umana. Siamo, infatti, tutti sempre più consapevoli di trovarci nel mezzo di rapidi cambiamenti di portata planetaria i cui risultati sul breve e sul lungo periodo sono solo parzialmente prevedibili. Il risultato di decenni di letteratura scientifica e di attivismo volti a portare l’attenzione sulla responsabilità che condividiamo nei confronti del pianeta che abitiamo è stato quello di una socializzazione tanto ai termini e ai fatti di un mondo che va rapidamente trasformandosi, quanto alle sfide che premono per la trasformazione dei nostri stili di vita e dei nostri comportamenti. Si parla oggi, in particolare, di Transizione Ecologica, ovvero di una riconversione degli attuali sistemi di produzione e di una rimodulazione delle politiche economiche dei paesi in senso di minore sfruttamento delle risorse e di maggiore tutela dell’ambiente, ponendo la sostenibilità al centro. Ancora di più, la transizione ecologica rappresenta la sfida più ampia a creare un nuovo tipo di cittadino del mondo, consapevole della propria impronta ecologica, decisore responsabile, consumatore attento e innovatore capace di avvalersi della tecnologia per ridisegnare un futuro migliore. La parola d’ordine è ormai da diversi anni “resilienza”: quella virtù che è sempre più fondamentale apprendere per essere in grado di adattarsi alle crisi riuscendo a modificare se stessi in funzione della sopravvivenza ai cambiamenti nelle condizioni esteriori. Negli ultimi due anni segnati dalla pandemia abbiamo imparato quanto questa competenza sia molto complessa da padroneggiare, soprattutto quando si tratta di dover far fronte a qualcosa che coinvolge intere popolazioni su tutti i piani della vita: dalla salute all’equilibrio psichico, dalla scuola al lavoro, dal tempo libero ai rapporti sociali. Abbiamo potuto toccare con mano come una crisi repentina e di misura globale richieda un insieme di trasformazioni altrettanto tempestive e di ampia scala. Richiede informazione, progettazione, impegno collettivo. Più difficile quando il problema da affrontare colpisce in modi più sottili diverse aree del pianeta, con dinamiche più complesse e non sempre riconoscibili come pertinenti alla sfera dei cambiamenti climatici, quando si misura in minuscole oscillazioni di temperatura giorno dopo giorno, in un insieme di modificazioni degli equilibri ecologici dai risvolti al di là di ogni capacità di previsione. E’ quindi necessario lavorare sul piano di un’informazione ricca e diffusa per combattere il nemico il cui volto non conosciamo se non per grandi linee, ma che sappiamo essere in grado di mettere a soqquadro la casa che abitiamo, le nostre radici sociali e la vita come la conosciamo. E’ necessario imparare a essere consapevoli delle conseguenze che le nostre azioni comportano, sul breve e sul lungo periodo, sulla breve e sulla lunga distanza. E’ necessario conoscere la strada che fa un bicchiere di plastica dalla fabbrica all’isola in mezzo all’oceano in cui ogni sorta di esseri viventi trovano la morte, quella del capo di abbigliamento che indossiamo, quella del cibo che attraversa i continenti per finire sulle nostre tavole, quella che facciamo ogni giorno in macchina o in aereo. Tra le strategie per ottenere questa trasformazione radicale dei modi di vivere e per nutrire questa competenza di cittadini responsabili e resilienti, la scuola ha sicuramente una posizione privilegiata e di particolare rilievo. Qui sono i futuri decisori, le nuove generazioni che dovranno aprire la strada a quelle ancora successive e che al contempo comunicano e influiscono sui comportamenti e le abitudini degli adulti. Senza contare che bambini e ragazzi spontaneamente si trovano a vivere con creatività tra il mondo umano e quello della natura, se stimolati a osservare hanno la capacità di sposare con la leggerezza del gioco il mondo che abitano e quello che sognano, se forniti degli strumenti per la lettura del presente sono in grado di saltare a piè pari il gap tra le generazioni e portare nelle case le radici di un rinnovamento. E’ questo lo scenario in cui si colloca anche il Piano per la RiGenerazione della scuola presentato lo scorso 4 giugno dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi e dalla sottosegretaria Barbara Floridia. Sulla pagina web si legge chiaro e tondo lo scopo: “ricostruire il legame fra le diverse generazioni, per insegnare che lo sviluppo è sostenibile se risponde ai bisogni delle generazioni presenti e non compromette quelle future, per imparare ad abitare il mondo in modo nuovo”. E’ un’occasione ideale per affrontare alcune tematiche importanti e cogliere al balzo spunti di riflessione riconducibili all’ampio ambito dell’educazione alla sostenibilità – che in molti paesi vede da diverso tempo emergere innumerevoli progetti e curricula didattici – e sfruttare questa cornice per porre l’attenzione su alcune particolari criticità proprie del discorso sulla Transizione Ecologica tout court.
Lorenzo Cervi, esperto di tutela dell’ambiente, collaboratore del Master