Regia: Roman Polanski
Genere: Drammatico
Tipologia: Istituzionalizzazione, Disagio minorile
Interpreti: Ben Kingsley, Frances Cuka, Barney Clark, Lewis Chase, Jake Curran, Harry Eden
Origine: Regno Unito, Repubblica Ceca, Francia, Italia
Anno: 2005
Trama: L’Oliver Twist di Polanski inizia fornendo qualche dettaglio sull’Inghilterra ottocentesca e sulla difficile condizione di vita infantile, specie se orfana, in una società dominata da convenzioni sociali e con una marcata distinzione tra ricchezza e povertà. Il flusso si infittisce, prende corpo e lo spettatore vive in simbiosi con il protagonista, attraverso le mille peripezie che è costretto ad affrontare. In questa linearità narrativa, lo sguardo spettatoriale procede di pari passo con l’evolversi del racconto. Diventa una storia di umanità e non, dove la lealtà e la bontà d’animo sembrano soppiantate dal tradimento e dalla prevaricazione e gli abusi e le ingiustizie poter avere la meglio su tutto. Più che la narrazione in sé,è la varietà di personaggi con cui Oliver deve confrontarsi che affascina, la forza d’animo che lo caratterizza. Personalità complesse che mettono in risalto come la distinzione pratica ricchi-poveri porta in realtà a conseguenze più grandi dal punto di vista morale. Il mondo che ne esce è crudo e violento, dove si vive di speranze e bisogna farsi guidare necessariamente dal proprio coraggio e dalla forza d’animo. Ma è anche un mondo dove il cerchio prima o poi si chiuderà e metterà fine alle numerose ingiustizie, talvolta con prezzi da pagare.
Recensione: Roman Polanski ricostruisce nei minimi dettagli l’intero mondo sociale della Londra vittoriana (anche se il set è stato in gran parte realizzato a Praga), in cui della tanto famigerata ‘civiltà’ ci sono pochissime tracce, anche perché Oliver viene risucchiato fin da subito nel vortice infimo della criminalità dei bassifondi. E’ una Londra paurosa quella in cui il bambino muove i suoi passi, assoldato da subito nella composita banda di furfantelli messa insieme dal temibile e bieco ladro ebreo Fagin (Ben Kingsley). In questa metropoli sporca, fatiscente, piena di criminali, puttane, ladri, affaristi, in preda alla corruzione e al malcostume, Polanski annulla, nel brulicare di un’umanità alla deriva, la differenza tra interni ed esterni: avvolge nell’oscurità sia le stanze di appartamenti e tribunali che le strade fangose di questa giungla moderna.
Tutti i personaggi nei loro spostamenti entrano ed escono da zone oscure (quelle del mondo di Polanski-Dickens), per cui, come avviene in quasi tutti i film di Polanski, lo spazio diventa puramente mentale: le strade diventano i corridoi della mente; la via d’uscita, e l’amarezza finale della finta salvezza, sono una evidente dichiarazione dell’impossibilità di sfuggire al male, che se viene superato momentaneamente come fatto privato, resta nelle maglie della storia degli uomini – piccoli o grandi, ricchi o poveri che siano -, verso cui, paradossalmente, ci si sente prima o poi attratti.