Vi guardo da questo angolo del giardino in cui batte il primo sole di questa primavera anticipata e penso che sono una maestra fortunata. È così difficile sentirsi fortunati di questi tempi, eppure è proprio quello che provo. Sono giorni difficili questi. Intorno a noi i casi aumentano, molte classi, scuole, comuni sono chiusi, sono tornati ad un lock down che avevamo cercato di scongiurare con tutte le nostre forze. È tornata la paura di ammalarsi, di doverci separare ancora. Vi guardo giocare, correre sorridenti, e prego di non dovermi più separare da voi, nemmeno per poche settimane. Se ripenso alle prime settimane di scuola, a quei giorni fatti di metro alla mano, conteggi, proporzioni che non tornavano mai, se ripenso ai corsi in cui ci hanno detto e ripetuto mille volte che dovevamo fare tutto il possibile per evitare una proliferazione del contagio; se ripenso alla nostra, alla mia preoccupazione nel fare e non fare qualcosa che avrebbe, involontariamente, messo in pericolo la vostra salute o quella delle vostre famiglie, adesso invece capisco che voi, bambini miei, avete saputo dare un senso anche a quelle recinzioni, a quei muri, a quei barattoli di disinfettante, persino a quell’odore intenso di alcol che evapora ogni sera dai nebulizzatori, quelli che devono cancellare ogni giorno la traccia del nostro passaggio, come se non ci fossimo mai stati. Siete riusciti a dare un senso. Il senso è che ci siamo. Nonostante tutto. Ci siamo. Avete dato senso agli sguardi e alle risate, anche quelle nascoste dalla mascherina. Io leggo le favole e voi imitate le espressioni, i gesti, riuscite a rendere facili e piacevoli tutte le attività che avevamo paura a riproporre, perché sapevamo che non sarebbero state uguali a prima. Mi avete insegnato che davvero niente è uguale a prima, ma allo stesso tempo tutto resta. E ogni cosa viene accolta da voi con non meno entusiasmo, non meno affetto, non meno consapevolezza che ogni giorno che passa è un giorno di crescita, un giorno in cui non importano le mascherine, né le distanze, né i cancelli, né i turni per il bagno e per la merenda, perché ogni giorno che passiamo insieme è un giorno in cui ci sentiamo abbracciati stretti al cuore. Chiara grida dallo scivolo: “Lo sai dada che ti voglio tanto bene?”. La guardo e le sorrido. Anche io vi voglio bene. Vi voglio così bene che non ho più paura.
Monica Betti