“Quando ero giovane facevo la cuntastruppole. […] Una che fa i racconti a grandi e bambini. In napoletano li chiamano cunti.” Così si presenta Nannina a Stephanie, una bambina di dieci anni, desiderosa di conoscere la vita della sua istrionica nonna: “Io faccio la pazza, ma pazza non ci sono mai stata.”

Nonna Nannina, nonna paterna dell’Autrice e protagonista del libro, ebbe il merito di professionalizzare l’antica pratica, affidata alle donne che stavano in casa ad allevare ed educare i figli, di raccontare stroppole per dire a loro, indirettamente, sotto forma di fiabe e racconti meravigliosi, come comportarsi nella vita. Uscendo dall’ambito domestico e rappresentando le stroppole/cunti in luoghi di incontro popolari, rese lo spettacolo narrativo un mestiere, come già praticato, fino ad allora, soltanto dai “cuntatori” maschi.

Racconta l’Autrice: “Lei conosceva uno per uno i suoi spettatori e ne celebrava i passaggi d’età (nascita, menarca e dunque ingresso nell’età adulta, morte.) e i passaggi di stato (matrimoni, inaugurazioni di botteghe, ecc…). Scegliere un racconto, che potesse adattarsi alla situazione personale che l’amico, il vicino o il conoscente attraversava in quel momento, voleva dire conoscerne i turbamenti e le difficoltà e accompagnare il processo di evoluzione del singolo, grazie al quale poi tutta la comunità cresceva”.

Stefania Spanò è cresciuta nel quartiere Secondigliano, se ne è andata da ragazza per poi tornare a insegnare nelle scuole e a dedicarsi a fare appassionare i bambini al teatro e alla letteratura.

Stephanie, “la nipote protagonista” di Nannina, non riesce a sostare all’interno del suo appartamento, è il balcone il suo unico occhio sul mondo circostante e proprio lì, un giorno, le si svelerà una verità: “Trova in te, Stephanie, la forza e il coraggio necessari a scolpire e modellare la tua pietra.” Stephanie capirà il significato di quelle parole attraverso il dolore della madre di una vittima della tragedia di Secondigliano: “Il mio scalpello sarà la penna e levigherò il foglio come pietra finché non compariranno le parole giuste […]. Apro il mio quadernino e scrivo: Cunto del dente di Elisabetta”.  Sarà la nipote Stephanie a raccogliere l’eredità della nonna, tramandandola e inventando nuovi cunti anche in forma scritta.

Nella vita reale Stefania Spanò, ben presto purtroppo, si è scontrata con la difficoltà di riadattare la stroppola a condizioni politiche e sociali mutate e come lei stessa dice: “Il mestiere della nonna non esiste più così com’era, proprio non può più esistere, perché quel senso di comunità, in cui l’io e il noi si confondono, è sparito assieme alla generazione di mia nonna. È nella fatica di questo passaggio del testimone che nasce il mio romanzo.”

Il ritorno a Secondigliano ha significato, per l’Autrice, l’assunzione di un importante impegno civile: “io volevo che le tradizioni delle feste e dei racconti nei cortili venissero riscoperte e potessero, anche solo nello spazio di tre ore di lettura, brillare più delle vicende criminose”, che emerge sia nel romanzo che nelle sue scelte di vita: “quello che trionfa su tutto è la fiducia verso un futuro fatto di comunità e dalle comunità. Le parole dei cunti sono formule magiche, finché ci saranno un io e un tu che si raccontano l’un l’altro vorrà dire che l’umanità ha ancora qualche desiderio da condividere. E il desiderio ha di per sé una connotazione magica, anche quando non si avvera”.

S. Spanò “Nannina”, ed. Garzanti, Milano, 2023.

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