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Di certo gli interrogativi che si pongono davanti ai malati terminali, minori in particolare, sono tra le questioni più difficili da trattare, anche in campo giuridico, non solo in quello medico. Ai problemi ed ai dubbi propri della malattia, si sommano altre complessità, proprie di tali soggetti. Spesso si tende a presumere che i bambini non siano in grado di rendersi conto di quale sia la loro condizione, di quando sia giunto il momento di dire basta ad ogni intervento medico, ormai inefficace ed infruttuoso. Ma davvero è sempre così?

In diversi studi è stato dimostrato come i bambini, spesso, sono consapevoli della serietà della loro situazione sanitaria: genitori e personale sanitario, al fine di evitare inquietudini e tormenti, eludono volontariamente certi discorsi sul tempo che passa, sulle cure da fronteggiare quotidianamente, cercando di esporre una sorta di ottimismo, anche se, tale comportamento rischia di lasciare i bambini ancora più soli nell’affrontare in prima persona la malattia. E’ innegabile che si dovrà porre massima concentrazione da parte dei medici alle modalità esterne con cui dare le informazioni, sia nei confronti dei genitori, ma soprattutto nei confronti del bambino: quest’ultimo un iter molto più complesso, per cui non è da escludersi, anzi, il valido appoggio di psicologi. Di fatto, si viene a riconoscere ai soggetti minori, non solo a quelli prossimi alla maggiore età, il diritto ad esercitare in modo autonomo una serie di libertà fondamentali (es. la trasfusione). Ma non solo: ricordo un caso, straziante, riportato in AAVV, Tutti bravi. Psicologia e clinica del bambino portatore di tumore, che ha per oggetto una bimba di 5 anni, colpita da rabdomiosarcoma alla vescica, che dice al padre “voglio finire, voglio andare a giocare a casa”. In questo caso, la sua volontà conta e la piccola passa un giorno a casa, soprattutto per salutare il suo gatto. Ecco quindi come qualcosa di positivo accade e il volere della bambina viene, in questo modo, preso in considerazione. Al di là del caso menzionato, studi recenti hanno dimostrato come, anche durante il periodo dell’infanzia, esiste una buona capacità di far fronte alle informazioni sanitarie e di decidere in merito. In tale contesto è doveroso ricordare sia l’art.32 del Codice di deontologia medica che prevede per il medico l’obbligo di fornire informazioni al minore, tenendo conto della sua volontà e, compatibilmente, con la capacità di comprensione dello stesso, sia la Convenzione di Oviedo che, nell’art.6, sottolinea come l’opinione del minore dovrà essere tenuta sempre in considerazione, quale elemento che possa orientare qualsiasi decisione.

Daniela Leban, Giugno 2018