Seconda parte

Una riflessione sul tema dev’essere compiuta sulle regole da determinare al fine di dare delle risposte che tengano conto dell’esperienza che sta alla base di un progetto, riproduttivo e genitoriale, che utilizza il ricorso alla tecnologia e che vede partecipi più soggetti, non necessariamente tutti coinvolti allo stesso modo. Soggetti che però sin dall’inizio sono in uno stretto rapporto fra loro: una relazione che non può essere ignorata dal diritto.

Da più parti si è rilevato come nella GPA vi sia una scissione tra progetto riproduttivo e genitoriale, progetti che, tuttavia, sono integrati tra loro.

La messa a disposizione della propria persona non si esaurisce in un unico atto ma si sviluppa in diverse attività coordinate verso un unico fine, realizzato in funzione dell’interesse altrui. Inquadrare una simile situazione in una delle tradizionali categorie del diritto civile risulta complesso: si rivela inadeguato lo schema del contratto, qualsiasi sia il tipo di riferimento richiamato (donazione, prestazione d’opera, locazione, vendita…), come anche le figure del diritto di famiglia non si prestano ad essere richiamate per la definizione delle relazioni che trovano il fondamento nella GPA.                 

Viene senza dubbio in evidenza la complessità di ricorrere a schemi e categorie già consolidate in ambito civilistico: l’elemento genetico – fino a poco fa ritenuto insito nella gravidanza e nel parto – oggi diviene un elemento che merita una legittimazione specifica, una volta determinata la scissione tra maternità biologica e intenzionale, ovvero la presenza di più donne che assumono diversi ruoli riguardo alla maternità.

Ciò che si può fare è individuare i principi, i valori, le regole i criteri che possono orientare l’interprete in un momento in cui il nostro Paese viene a confrontarsi con i casi di GPA realizzati all’estero e con le conseguenti richieste di riconoscimento e trascrizione dei certificati di nascita rilasciati dal Paese straniero: principi e regole che potranno orientare il legislatore laddove ritenga opportuno ripensare sul divieto sancito nella L.40/2004.

In linea astratta, l’accordo di GPA può considerarsi espressione di interessi meritevoli di riconoscimento – i diritti di costituire una famiglia e alla bigenitorialità, l’aspirazione a divenire genitori ove possibile anche genetici, il diritto al rispetto della vita privata e familiare – tutte le volte in cui si sia in grado di garantire la posizione delle parti coinvolte nella relazione, i loro diritti e le loro libertà fondamentali (Palmeri). Si deve ritenere contestualmenteche un accordo di questo genere non può in sé essere considerato contrario all’ordine pubblico e al buon costume, così come interpretati oggi, quando il modo in cui è organizzato questo accordo rispetta i criteri ai quali devono essere improntati gli atti di disposizione del proprio corpo e garantisce la salvaguardia del miglior interesse del minore.

Quali sono le questioni maggiormente problematiche? In primis, sicuramente il più forte, il ruolo della madre biologica, vicenda che investe il tema della scelta di divenire madre biologica per altri, dei possibili momenti di legame reciproco o di disaccordo tra la madre biologica e la coppia intenzionale, dei presupposti in presenza dei quali l’accordo è meritevole di riconoscimento e tutela; vi è poi il tema della rilevanza della partecipazione -genetica – dei genitori intenzionali, oltre all’interesse del minore.

Il presupposto da cui muoversi è che in presenza di una manifestazione di volontà libera e consapevole che riguardi il proprio corpo e che sia rispettosa dei valori propri dell’ordinamento, l’atto dispositivo dello stesso deve essere consentito se non entra in conflitto con interessi di livello costituzionale.

Una tale scelta viene a configurarsi come espressione del potere di autodeterminazione della persona: è una decisione concorde che si caratterizza per approfondire la conoscenza reciproca con un progetto più ampio, legato a farsi carico della genitorialità da parte di soggetti diversi dalla donna che intende farsi carico della gestazione. Un disegno progettuale, ovvero una pianificazione voluta e condivisa con altri che manifestano la volontà di divenire genitori che distingue nettamente i due profili: quello procreativo, che resta di dominio esclusivo della donna, quello genitoriale che può riguardare un uomo e una donna o una coppia dello stesso sesso.

L’obiezione principale sul tema si configura sul fatto che la GPA sia espressione dello sfruttamento della donna e della trasformazione della stessa in “incubatrice”: è un modo per negare la capacità di autodeterminazione femminile che rivela una visione paternalistica ed autoritaria diretta al controllo del corpo della donna, considerata non in grado di scegliere in modo consapevole il percorso da intraprendere.

Si sottolinea come vietare in modo assoluto la GPA non risponde neppure ad un interesse fondamentale dell’ordinamento italiano sulla base della Carta Costituzionale e delle altre normative in cui il diritto di costituire una famiglia è espresso in ampio modo. Un simile rigido orientamento minimizza il percorso di trasformazione compiutosi con una attenta lettura dei principi di uguaglianza e di non discriminazione che ha portato al riconoscimento – seppure in modo molto graduale – delle caratteristiche individuali (si pensi alla riforma del diritto di famiglia, introduzione del divorzio, unioni civili…). In questo contesto è sufficiente richiamare i principi della maternità responsabile e cosciente e dell’autodeterminazione in ambito procreativo che non possono essere coniugati in modo diverso tra uomo e donna, in ragione del diverso ruolo rivestito dai due sessi nel processo riproduttivo.

A garanzia della dignità e della integrità psicofisica della donna si dovrebbero predisporre un insieme di verifiche di varia natura – medica, giuridica, amministrativa – tese a verificare la consapevolezza del consenso e la piena libertà di scelta, le modalità di attuazione della GPA, il concreto interesse della prole.

Una volta riconosciuto che non vi sono ragioni per negare alla base la possibilità di accordi di questo genere, si deve porre in luce come la specificità del processo procreativo imponga che tutte le decisioni riguardanti la gravidanza siano rimesse alla decisione della madre biologica: non possono quindi essere imposti criteri di condotta ad opera dei futuri genitori intenzionali essendo la madre biologica libera di autodeterminarsi sia su “se” che sul “come” portare avanti la gravidanza.  (continua)

Daniela Leban