Parlare di questioni bioetiche, analizzando norme e disposizioni del diritto privato nel rispetto del valore della persona umana e della sua dignità sarà il tema conduttore dell’insegnamento “Risvolti di bioetica giuridica in ambito minorile” all’interno del Master Tutela, diritti e protezione dei minori. Nella riflessione odierna la dott.ssa Daniela Leban descrive l’impatto della legge 219/2017 (legge sul biotestamento) sui cittadini, a cinque anni dalla sua entrata in vigore.

La Redazione

Il biotestamento

In questi ultimi tempi, per effetto dello sviluppo biotecnologico, abbiamo assistito ad un superamento dei limiti entro i quali si sono da sempre collocati fatti naturali, quali la vita e la morte. La morte, in particolare, cessa di essere un fatto ineludibile, determinato e definito nel tempo, per trasformarsi in un processo lungo e medicalizzato.

Tale sviluppo ha inciso profondamente sul modo in cui la malattia è vissuta e percepita dal soggetto fino ai momenti finali della sua esistenza e ciò ha aperto nuovi spazi di decisione e di scelta del paziente in ordine alle cure e ai trattamenti medici cui desidera sottoporsi. È in tale contesto che al diritto è stato affidato l’impegnativo compito di disciplinare fenomeni creati dall’evoluzione tecnologica, nel tentativo di stabilire se tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche eticamente accettabile e giuridicamente lecito.

Se inizialmente il diritto alla vita e alla salute era interpretato nel senso del diritto- dovere di curarsi e farsi curare, successivamente si è affiancato con pari forza il diritto all’autodeterminazione in ordine alle cure mediche e il diritto ad una vita dignitosa.

In tale contesto trova origine la L. 219/2017: una tra le innovazioni più significative introdotte dalla stessa può indubbiamente considerarsi la possibilità di manifestare efficacemente le proprie scelte in ordine ai trattamenti sanitari per l’ipotesi di, un’eventuale, successiva incapacità del soggetto di autodeterminarsi, attraverso le cosiddette direttive anticipate di trattamento.

L’art. 4 della L.219/2017 disciplina il vero “testamento biologico”, prevedendo che “ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte” possa, attraverso le disposizioni anticipate di trattamento (DAT) esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o a scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari.

In tale contesto si pone come necessario (e auspicabile) che le informazioni sanitarie fornite dal medico siano personalizzate e, quindi, adeguate al contesto sociale e culturale dal quale provenga l’interessato, in modo tale da renderle più comprensibili per lo stesso affinché il consenso all’atto medico possa realmente dirsi consapevole.

La legge disciplina anche la forma di tali disposizioni, prevedendone la redazione per atto pubblico, per scrittura privata autenticata o consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del proprio comune di residenza o presso le strutture sanitarie.

Al fine di evitare che le DAT siano superate perché disposte in un’epoca molto antecedente rispetto al momento in cui le stesse dovessero essere attuate, il 5°co. dell’art. 3, che impone al medico di rispettare le volontà espresse nelle DAT, contemporaneamente consente al sanitario di disattenderle in tutto o in parte, in accordo col fiduciario (soggetto, nominato dal paziente, che verrà eventualmente chiamato quando il paziente non sarà più in grado di esprimersi) solo quando esse “appaiano palesemente incongrue, non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita”; in caso di conflitto tra fiduciario e medico, si farà ricorso al giudice tutelare.

Qual è stato l’impatto di tale innovativa legge sui cittadini?

In primis possiamo affermare come le forme delle DAT previste dalla legge, sono a forte rischio di burocratizzazione, e l’intermediazione di diverse figure – avvocati, notai, funzionari – magari non ancora pienamente a conoscenza del tema specifico, rischia di orientare il soggetto ad un utilizzo delle DAT che non valorizzi le possibilità offerte dalle stesse. Si deve porre in evidenza come, sebbene la legge sia entrata in vigore cinque anni fa, sono ancora pochissimi i cittadini che conoscono questo strumento fondamentale che permette di poter decidere, in anticipo e consapevolmente, sul proprio fine vita.

Di certo non è mai stata realizzata una campagna istituzionale, particolarmente incisiva, volta a informare cittadini, medici e personale sanitario, come previsto dalla stessa legge, e questo ha creato un enorme vuoto di informazione e consapevolezza. Mentre ciò può essere facilmente superabile a livello degli operatori sanitari, le difficoltà alle quali va incontro il singolo soggetto sono di disorientamento e di confusione.

L’associazione Vidas aveva promosso nel 2019 una ricerca per conoscere la percezione della popolazione sul biotestamento: solo tre persone su dieci si erano poste il problema di pianificare il proprio fine vita “pur essendo favorevoli al testamento biologico soprattutto i giovani, non credenti, residenti nel nord ovest e con un livello di istruzione medio alto”.

Uno dei timori espressi da molti soggetti era “il modo con cui il documento possa essere utilizzato, unitamente al dubbio che non vengano rispettate le proprie decisioni”. Inoltre, il testamento biologico – essendo spesso redatto molto prima che sia di fatto necessario prendere decisioni serie -, comporta l’oggettiva preoccupazione che istruzioni altamente specifiche sul da farsi, possano non essere in linea con circostanze nuove e imprevedibili, che magari abbiano una innovativa soluzione medica.

La legge ha sicuramente colto la sensibilità della società nei confronti del valore della autodeterminazione, consentendo di ampliare la libertà di alcuni, e permettendo loro di decidere responsabilmente sulla propria morte nelle circostanze e secondo le procedure date, senza, limitare quella di coloro che non accettano di effettuare le stesse scelte.

Occorre sottolineare come è necessario far conoscere al cittadino tale legge, allargando e approfondendo la collaborazione tra professionisti sanitari, giuristi, bioeticisti di modo che la stessa legge non venga interpretata come un “dovere”, bensì come un’opportunità offerta al cittadino in relazione all’esercizio effettivo del proprio diritto di autodeterminazione, in quella parte di vita che si rivela indubbiamente difficile, viste le patologie che si creano col decorso del tempo.

Daniela Leban, esperta di bioetica giuridica