Al termine del precedente articolo abbiamo parlato delle due priorità fondamentali per far fronte ai cambiamenti ambientali in atto e alle possibili crisi in corso o a venire – partecipazione ed educazione. Per quanto riguarda la partecipazione, abbiamo già avuto modo di nominare l’impegno di alcuni enti e alcune iniziative particolari rivolte ai bambini nelle aree più soggette agli effetti dei cambiamenti climatici; resta ancora molto da fare in termini di coinvolgimento dei più giovani nei paesi ove i cambiamenti climatici sono ancora percepiti come non problematici. Per quanto concerne l’educazione, è veramente una proposta nuova, nata in questi anni con l’aumentare della preoccupazione per la nostra sopravvivenza in un ambiente i cui equilibri sono pericolosamente a rischio? Nel contesto pedagogico, l’attenzione al rapporto uomo-ambiente non costituisce senz’altro un tema nuovo; al contrario, la necessità di includere fondamenti di educazione ambientale nella formazione culturale dei cittadini si è affermata a partire dalla metà degli anni ’60, con la pubblicazione di Silent Spring da parte della biologa Rachel Carson e con la nascita dei primi movimenti ambientalisti, che hanno preso forma assumendosi il compito di un ripensamento dell’azione umana sull’ambiente naturale. Negli anni ’70, poi, il consumismo, la crescita demografica e le crescenti disparità tra paesi ricchi e paesi poveri hanno determinato il fiorire di istituzioni, enti e iniziative focalizzate sul tema dello sviluppo sostenibile. Nel 1971, così, l’educazione ambientale ha trovato la sua prima definizione da parte della Commissione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) e nel 1972 la sua prima formulazione “ufficiale” nel corso della conferenza sull’ambiente promossa dalle Nazioni Unite a Stoccolma. Da allora molto è stato scritto sull’argomento con lo scopo di definire le caratteristiche dell’educazione ambientale e numerose sono state le iniziative attuate – a livello internazionale e nazionale – in ambito scolastico ed extra-scolastico. Fin dalla conferenza sull’ambiente di Stoccolma, dunque, è proprio l’educazione ambientale a emergere come un fattore-chiave per affrontare in profondità la crisi mondiale dell’ambiente. La forma che fin da subito viene individuata come la più adeguata alla complessità degli elementi in gioco è quella di un insegnamento interdisciplinare, che prevede sia interventi a livello scolastico sia extra-scolastico, con lo scopo non solo di promuovere in ogni individuo la consapevolezza della sua propria responsabilità in materia di tutela e salvaguardia dell’ambiente, ma anche di fornire le condizioni per poter svolgere un’azione personale a favore dell’ambiente.

            Determinante poi alla configurazione di un’articolata idea dell’educazione ambientale e di un orizzonte di riferimento per la pratica didattico-educativa relativa all’ambiente è stato soprattutto il “Colloquio internazionale sull’educazione relativa all’ambiente”, tenutosi a Belgrado nell’ottobre del 1975. Nel documento finale – la Carta di Belgrado – si afferma che lo scopo dell’educazione ambientale è di «formare una popolazione mondiale cosciente e preoccupata dell’ambiente e dei problemi connessi, una popolazione che possieda le conoscenze, le competenze, lo stato d’animo, le motivazioni e il senso del dovere che le permettano di operare individualmente e collettivamente alla soluzione dei problemi attuali e di impedire che se ne creino di nuovi» (1). Gli obiettivi fondamentali dell’educazione ambientale espressi in questo documento riecheggiano ancora a distanza di quattro decenni: consapevolezza dell’importanza dell’ambiente; conoscenza dei problemi complessi del rapporto uomo-ambiente e quindi delle responsabilità che derivano dall’intersezione tra attività umane e natura; possesso degli strumenti per mettere in atto atteggiamenti ecologici connotati da un forte sentimento di interesse per l’ambiente; competenze per per fornire il proprio contributo personale alla soluzione di problematiche ambientali; capacità di valutare i comportamenti adeguati a rispondere ai problemi emergenti; partecipazione attiva alla soluzione dei problemi ambientali. A partire dal Colloquio di Belgrado, che ha rivestito una notevole importanza non solo per il lavoro orientativo di delucidazione concettuale degli obiettivi dell’educazione ambientale, ma anche perché ha dato l’avvio a tutta una serie di iniziative che hanno incrementato a livello mondiale il dibattito su questo tema, l’educazione ambientale si è imperniata sull’attivazione di esperienze educative e di pratiche didattiche. Tra le esperienze educative si trovano attività focalizzate sulla partecipazione attiva e sulla formazione di competenze – come la raccolta dei rifiuti abbandonati, la progettazione di escursioni naturalistiche e di attività senso-percettive a diretto contatto con la natura. Tra le pratiche didattiche, invece, si raccolgono gli sforzi tesi a offrire una conoscenza solida e una comprensione globale dei problemi e delle soluzioni riscontrabili negli ambienti di riferimento – laboratori scientifici, lezioni riguardanti il risparmio energetico e il riciclaggio dei rifiuti, interventi di esperti, condivisione di storie che testimoniano di azioni che hanno avuto esiti significativi nella sfida ai problemi ambientali, laboratori di discussione in grado di porre bambini e ragazzi nelle condizioni di condividere le proprie emozioni verso l’ambiente naturale e le proprie perplessità e paure nei confronti delle problematiche ambientali, di confrontarsi e di elaborare assieme progetti, idee e azioni concrete da realizzare in attività impegnate nella conservazione dell’ambiente, o nella partecipazione alla soluzione di problemi locali. Tra queste componenti dell’educazione ambientale, l’aspetto su cui ha insistito maggiormente la letteratura è stato quello della valenza formativa di un’educazione ecologica sul campo, a diretto contatto con gli elementi del mondo naturale. L’ambiente naturale, infatti, con la sua straordinaria ricchezza biologica, se esplorato e conosciuto attraverso esperienze sapientemente strutturate, si presenta come un luogo di ricreazione psico-fisica, di formazione pedagogica e di fruizione estetica. La natura si colloca molto lontano dall’anonimato intellettuale di alcune pratiche formative tradizionali e può avere un valore trasformativo,poiché può rivestire un ruolo importante nel condizionare lo sviluppo del carattere e dell’identità dell’essere umano, può modificarne i comportamenti e renderli più responsabili ed eco-compatibili. Il contatto diretto con la natura, in altre parole, disgregando lo spazio chiuso di una scuola che tende a mantenersi lontana dal mondo circostante, concorrerebbe non solo a sviluppare la consapevolezza del valore degli ambienti naturali, ma anche a incoraggiare modi di esistenza “più naturali”, in una rinnovata percezione di sé come non semplice spettatore di eventi, ma come agente attivo, capace di provocare dei cambiamenti nei rapporti fra mondo umano e mondo naturale. Attraverso “esperienze di natura”, dunque, bambini e ragazzi possono ricevere un’educazione cognitiva, un’educazione senso-percettiva, un’educazione estetica e un’educazione etica. Dalla natura possono imparare la complessità e la molteplicità delle prospettive da cui è possibile osservare le dinamiche che regolano gli equilibri degli ecosistemi terrestri, possono ampliare il loro repertorio percettivo grazie all’ascolto e al silenzio nell’incontro con il mondo naturale, possono acquisire una più ampia coscienza della forma, della bellezza e dell’armonia di ciò che li circonda, apprezzando anche gli elementi meno visibili e meno appariscenti dei vari luoghi grazie alla comprensione della loro funzione nell’ecosistema, e possono commisurare a tutto ciò la loro azione per ristabilire una relazione “simpateticamente intelligente” con la natura. Da quanto si è detto finora emerge chiaramente come l’educazione ambientale, fin dai suoi esordi, si sia configurata come un processo volto a promuovere lo sviluppo di abilità di pensiero, di conoscenze, di sentimenti, di atteggiamenti e di comportamenti in grado di ripensare e riprogettare la relazione dell’uomo con l’ambiente nella direzione di un abitare con saggezza la terra (2), di pervenire cioè a una significazione-progettazione-gestione del proprio abitare la terra nella direzione del rispetto per la natura in vista di una migliore qualità della vita. Una domanda, però, dobbiamo porci oggi, nel 2020: quali frutti sono stati raccolti da un lavoro pedagogico e didattico di quasi cinquant’anni? I principi e le metodologie formulati a partire da un documento come la Carta di Belgrado hanno prodotto i risultati sperati in termini di cambiamenti nelle attitudini e nei comportamenti degli individui verso la natura? E ancora, si tratta di una proposta sufficiente e adeguata per far fronte alle sfide ecologiche a venire?