Che cos’è un’emergenza ambientale? Ai fini di ciò che si intende veicolare nei prossimi interventi, utilizziamo questo termine per indicare tanto gli eventi meteorologici estremi – quali tempeste, uragani, alluvioni, ondate di calore, periodi di prolungata siccità – quanto i disastri naturali – come terremoti, incendi, pandemie. Più in generale, si fa riferimento a tutti quegli eventi che hanno la capacità di coinvolgere in breve tempo un elevatissimo numero di individui, sconvolgendo la quotidianità e mettendo alla prova le possibilità di sopravvivenza di una o più popolazioni. Un’ulteriore caratteristica di tali emergenze è la presenza di una esplicita componente di origine umana quale causa (più spesso con-causa), vettore o amplificatore dell’evento catastrofico.
La frequenza di emergenze ambientali è aumentata sensibilmente negli ultimi decenni ed è associata a diversi fattori, quali la deforestazione, la perdita degli habitat naturali che garantiscono gli equilibri della biodiversità, la degradazione ambientale, l’urbanizzazione, l’innalzamento del livello dei mari e l’intensificazione di variabili climatiche. Si prevede che con l’incremento di crisi ambientali aumenterà il numero di bambini colpiti da questi disastri: si stima che negli anni ’90 questi abbiano colpito 66.5 milioni di bambini nel mondo, la stima per i decenni a venire è di 175 milioni di bambini ogni anno (1). Ora, come abbiamo affermato al termine del precedente articolo, soffermarsi sulle emergenze ambientali permette un colpo d’occhio sull’insieme delle conseguenze più gravi per la salute fisica, cognitiva e mentale dei bambini; dei medesimi effetti, molti si ritrovano frammentati e secondo gradienti di gravità in molte situazioni non altrettanto drammatiche o, invece, prolungate nel tempo. Tra i primi e più gravi effetti della maggior parte delle emergenze e catastrofi ambientali si possono elencare morti traumatiche, lesioni più o meno gravi, danni acuti a livello delle principali funzioni fisiologiche, esiti sfavorevoli delle gravidanze, perdita di uno o più caregivers, cui si vanno a sommare tutti i problemi contestuali al danneggiamento o distruzione delle maggiori infrastrutture, come la diffusione e proliferazione di malattie infettive, la scarsità e insicurezza di cibo e acqua, il dislocamento temporaneo o prolungato della popolazione, il collasso dei servizi essenziali e il danneggiamento delle strutture fondamentali (case, scuole, ospedali, strade, ponti, reti di telecomunicazione, acquedotti, fognature) da cui dipendono tanto gli equilibri comunitari quanto il benessere delle famiglie e la sicurezza e protezione fisica, mentale ed emotiva dei bambini. In quest’ottica è importante tenere presente che rispetto a tali situazioni giocano un ruolo di primaria importanza le strategie di prevenzione e le strategie di riparazione adottate per far fronte alla perdita delle risorse fondamentali, o comunque abituali, di sussistenza. Prendiamo l’esempio delle alluvioni. Esse costituiscono un grave pericolo per lo sviluppo e per la sopravvivenza dei bambini, poiché tra gli impatti diretti vi sono lesioni (più o meno gravi) e morte da annegamento, ma, accanto a questi rischi immediati, si collocano i pericoli per la salute dei bambini sopravvissuti e sfollati. Le alluvioni, infatti, danneggiano i sistemi fognari e le strutture sanitarie, compromettono gli approvvigionamenti idrici sicuri, contaminando l’acqua e aumentando così il rischio di contrarre malattie infettive durante e dopo questi eventi meteorologici estremi, compromettono la sostenibilità dei comportamenti igenico-sanitari, soprattutto quando le case dei bambini vengono distrutte o gravemente danneggiate e le strutture d’emergenza sono insufficienti, eccessivamente affollate e insalubri, per cui le malattie infettive possono propagarsi rapidamente al loro interno, e compromettono i mezzi di sussistenza delle famiglie e la sicurezza del cibo. All’estremo opposto vi è l’esempio della siccità prolungata. La distruzione dei raccolti, la morte del bestiame, la perdita di entrate, la scarsità di cibo, l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, sono tutte conseguenze della prolungata mancanza d’acqua che possono provocare malcontento, disordini sociali e, più in generale, possono erodere le reti di relazioni. I bambini sono sicuramente tra i soggetti più vulnerabili a questi effetti: in primo luogo, perché la perdita di entrate e la carenza di cibo comportano privazioni nutrizionali che possono avere impatti immediati e anche permanenti sulla vita dei bambini, i quali, come abbiamo affermato, hanno bisogno di consumare più cibo e più acqua per unità di peso corporeo rispetto agli adulti; in secondo luogo, perché la perdita dei mezzi di sussistenza può portare le famiglie ad attivare strategie di adattamento inadeguate o persino dannose, in grado di compromettere le prospettive – a breve, medio e lungo termine – delle famiglie stesse e il benessere e la sicurezza dei bambini. In diverse situazioni, infatti, come avvenuto per esempio nel 2011 in Somalia, Etiopia, Kenya e Sud Sudan a causa di una gravissima siccità, tali meccanismi erosivi di coping hanno comportato il ritiro da scuola dei bambini per aiutare nelle occupazioni domestiche, per sgravare le famiglie dai costi legati alla frequentazione scolastica, per trovare un lavoro o, nel caso di ragazze anche molto giovani, per contrarre matrimoni. In certi casi, poi, diversi componenti delle famiglie hanno deciso di cercare un impiego lavorativo in una località distante, lasciando i bambini da soli a occuparsi della casa per molte ore del giorno o per periodi di tempo più lunghi, esponendoli in tal modo a un aumento significativo dei tassi di malnutrizione e di malattie croniche, e del rischio di essere sottoposti a forme di sfruttamento del lavoro, violenza e traffico. Molti altri esempi potrebbero essere menzionati, tanto più frequenti e drammatici quanto più ci si allontana dai confini dei paesi “più sviluppati”, dal momento che – come vedremo nel quarto intervento – i paesi più poveri e le comunità più svantaggiate (dal punto di vista economico, sociale e culturale) sono le realtà più vulnerabili sul piano ambientale e le meno strutturate per re-agire in modo resiliente alle trasformazioni in atto. In entrambi i casi, però, ciò che ci preme sottolineare è che i rischi che corrono i bambini a causa di emergenze ambientali vanno ben oltre le minacce alla loro protezione fisica e possono avere effetti duraturi sulla loro salute mentale e sul loro sviluppo cognitivo ed emotivo. Nel prossimo intervento ci concentreremo proprio sul potenziale traumatico insito nel fare esperienza diretta di eventi meteorologici estremi e di disastri naturali, e sulla conseguente importanza rivestita dall’attivazione di risposte supportive in grado di sostenere bambini, ragazzi, famiglie, e di ripristinare relazioni, comunità e condizioni di partecipazione consapevole alle difficili sfide comuni.
(1) American Academy of Pediatrics, Global Climate Change and Children’s Health, «Pediatrics», Vol. 136, No. 5, 2015, pp. 1468-1484.