di Dina Galli e Francesca Mantovani
Presentazione – Francesco Rossetti
Si continua a non accettare neanche l’idea che l’esodo biblico del mondo, che sta morendo di torture, sia parte della nostra esistenza.
Che non si dica mai più in nessuna condizione: “Non ti voglio vedere, non ti voglio vedere in questo stato!”.
Richiamando queste bellissime e suggestive parole, giocate con maestria e ricchezza di messaggi, contenuti e doppi significati, come solo Alessandro Bergonzoni è in grado di fare, è possibile cogliere in tutta la loro drammaticità la portata di eventi, che trascendono la nostra quotidiana esistenza e ci dovrebbero richiamare a riflessioni ben più profonde.
Le autrici citano più ampiamente un copione scritto e rappresentato dall’attore per aiutarci a entrare in sintonia con questo loro testo, tanto semplice da comprendere quanto articolato e approfondito.
La distanza che poniamo tra gli sbarchi di popolazioni in viaggio, in un esodo per l’appunto biblico, è la distanza tra le nostre comodità, i nostri egoismi, i nostri attaccamenti e una fila interminabile di persone, poiché tali esse semplicemente sono, al di là di ogni possibile definizione o qualifica, persone in attesa di varcare le soglie di una speranza costituita da un mondo migliore rispetto a quello di provenienza e di accedere alle nostre stesse condizioni di vita, fondate appunto sul riconoscimento della propria personalità, così come previsto dalla nostra Costituzione.
Se sapessimo rappresentarci o solo vagamente immaginarci cosa queste persone, identiche a noi in tutto e per tutto, portano su di sé per le violenze, le persecuzioni, la fame, la difficoltà non di vivere bensì di sopravvivere, forse potremmo riuscire a cambiare angolo di visuale e porci in una condizione di ascolto, che le nostre sorde orecchie stentano ad accettare.
Questo testo ci sospinge in questa direzione e compie un’operazione ben più approfondita di quel che il titolo ci suggerisce: ci conduce per mano all’interno degli avvenimenti di questi giorni, che oramai fanno parte della storia e non più della cronaca, per aiutarci a spostare l’angolazione da cui ci poniamo.
Attraverso un percorso logico e coerente l’arrivo degli stranieri – che poi così “strani” non sono, visto che assomigliano a noi in tutto e per tutto, per il legame strettissimo dell’intero genere umano, la nostra umanità – il libro ci apre un mondo, il mondo reale, diverso da quello in cui rischiamo o forse siamo indotti a vivere distrattamente e superficialmente.
Arrivano, dunque, gli stranieri: sembra di vederli, mentre, asserragliati nel nostro fortino di tanti film dell’epopea western, all’orizzonte si solleva un terrificante polverone, che evoca presagi di pericolo e morte.
Il polverone ci annebbia la vista e non ci aiuta certo a comprendere cosa stia accadendo, mentre in una frenetica e disperata operazione di difesa non tentiamo di capire, ma irrazionalmente ci affanniamo ad accumulare ostacoli e barriere alle nostre porte, ad ammucchiare mobili e suppellettili, a porre filo spinato e a costruire inutili e vergognosi muri, nella speranza risibile di contenere un’onda d’urto che per la sua potenzialità ricorda quei cicloni caraibici, onde d’urto inarrestabili.
Pur essendo destinato, per esplicita dichiarazione d’intenti, agli operatori dell’area sociale, educativa e sanitaria, il testo apre prospettive ben più ampie, ci aiuta a diradare la nebbia di quel polverone e ad assumere una visione realistica della situazione, senza sminuirne le difficoltà, ma fornendo al tempo stesso le chiavi per accostarci a questa nuova realtà e incidere significativamente nella ricerca di nuovi equilibri.
Noi vorremmo sempre tenere sotto controllo la situazione in cui viviamo, sempre paurosi di una destabilizzazione proveniente dal “nuovo” e dal “diverso”, ma qualcosa sempre ci sfugge, s’insinua, si pone di traverso, scombussola i nostri piani: è la nostra quotidiana esperienza quella di riaggiustare continuamente il tiro e ritrovare quel «centro di gravità permanente», così abilmente e piacevolmente tratteggiato da Franco Battiato nella sua bellissima composizione.
L’ignoto è sempre stato fonte di racconti, film, rappresentazioni simboliche, con tutte le paure che ne conseguono, ma che rischiano – riprendendo una tragica e significativa espressione di Bergonzoni – di “annegare l’esistenza”.
Proprio perché non si può negare l’evidenza né tanto peggio “annegare l’esistenza” dei poveri della terra, siamo richiamati a una sapiente razionalità, che di fronte all’impotenza di arginare e risolvere i problemi sia in grado di evitare chiusure reali e metaforiche e avviare un percorso di comprensione.
Laddove “comprendere” non è solo un’operazione mentale, ma anche e soprattutto uno stile di agire, per ricondurre, e nel significato etimologico “prendere con noi”, un tratto di umanità persa nelle sue sventure e alla ricerca di nuovi, sicuri e confortanti approdi, nel senso letterale della parola.
Il testo ci offre una panoramica puntuale e a tutto tondo del quadro legislativo nazionale e sovranazionale, un quadro prezioso perché ordinato e coordinato in modo da aiutarci a collegare trattati internazionali, direttive dell’Unione Europea, accordi, protocolli, fino a scendere ai progetti sociali che da quelle norme traggono origine.
Si tratta di una raccolta minuziosa e di un’esposizione ragionata e precisa, cui si accompagna la rassegna di tutti gli organi e le strutture nazionali e locali, statali, private o del settore pubblico/privato, deputate all’accoglienza, punti imprescindibili di partenza per comprendere la situazione.
Attraverso una trama che si dipana passo per passo, facilitando la lettura, veniamo condotti sempre più al centro del problema, caratterizzato dal contrasto e dall’inversione proporzionale tra le fonti normative, tali da predisporre un apparato articolato, complesso ed efficace di accoglienza, e la crescente insofferenza nei confronti dei migranti, termine che qualcuno con giusta indignazione ha ripudiato, facendo notare che non siamo di fronte a specie di volatili che si spostano all’alternarsi delle stagioni calde e fredde.
A questo paradosso fa riscontro la posizione degli operatori, cui il testo è principalmente destinato, divisi tra la capacità d’interpretare i fenomeni, frutto di una professionalità seria e aggiornata, e l’impotenza a fornire risposte adeguate e tempestive. A cui si aggiunge l’esposizione in primo piano e più diretta con le persone che sbarcano nei nostri porti o si recano nei loro uffici, riversando direttamente sugli operatori tutta la comprensibile rabbia, la paura, la disperazione che li accompagna.
Questa impotenza e l’esposizione stessa degli operatori sembrano amplificarsi e trovare eco involontaria nell’opinione comune, fino a collassare in un delirio di paura, intolleranza e “rigetto”, quasi al cospetto di un’operazione di trapianto che non si vuole abbia successo.
Le implicazioni sono certamente numerose e trascendono anche sul piano politico nazionale e internazionale i confini posti dal testo, che però ci aiuta anche attraverso alcuni verbi molto significativi a riscoprire le chiavi di lettura e il nucleo dei rapporti umani e delle relazioni come fondamento di ogni corretto e adeguato approccio: proteggere, accogliere, integrare, includere.
Se – con un parallelo un po’ ardito – potessimo accostare i profughi ai nostri figli neonati, potremmo essere aiutati a comprendere come quei verbi colgono l’essenza di tutti i rapporti umani, laddove a una parte solida, sicura, dotata di forza, potere e mezzi, fa riscontro una controparte debole, indifesa, esposta a ogni possibile sopruso e violenza. Non per nulla l’attenzione del legislatore è alfine caduta sui minori stranieri non accompagnati.
I numerosi e precisi riferimenti a tutte le forme di disagio e alle modalità di approccio e d’interpretazione di tali situazioni, conseguenti a uno sradicamento dal proprio ambiente, dalla propria famiglia, dal contesto sociale, dalla cultura, dalla religione, appaiono il frutto non di analisi puramente teoriche ma di esperienze sul campo, puntualmente e analiticamente esaminate, consentendo ad ogni operatore sociale di trovare riscontro dei problemi dinanzi ai quali si trova e delle risorse cui fare ricorso.
Ma nell’analisi di tutte queste fragilità possiamo tutti riscoprirci capaci di comprendere, perché, fatte le debite proporzioni, esse rispecchiano tutte le nostre paure, debolezze e fragilità, che siamo in grado di superare grazie alle nostre condizioni privilegiate, mentre altri non godono delle medesime condizioni e possibilità.
Nonostante “l’aria che tira”, certamente non delle migliori, pur attraverso difficoltà, incomprensioni, battaglie anche dure, non possiamo rinunciare ad affermare la dignità della persona, in particolare delle persone più deboli, che certamente prima o poi troveranno risposta, perché tutti siamo in grado di “vedere con il cuore”, in modo che non si debba veramente mai più dire “non posso vederti in questo Stato/stato”.
Galli, Mantovani – Introduzione – Lavoro sociale e migrazioni.pdf