Regia: Philip Gröning
Genere: Drammatico
Tipologia: Violenza Familiare
Interpreti: Alexandra Finder, David Zimmerschied, Pia Keemann, Chiara Kleemann, Horst Rehberg
Origine: Germania
Anno: 2013
Trama: Uwe è un poliziotto metodico e un marito violento. Christine è una madre premurosa e una moglie pestata. Clara è una bambina curiosa e una figlia contesa. Educata tra amore e violenza, Clara passa le sue giornate sotto lo sguardo amorevole di Christine, che la inizia alla bellezza del mondo e la protegge dai suoi pericoli. Ma quello più grande si annida nel suo focolare domestico, siede al suo tavolo, si accomoda sul suo divano e infila il suo letto per sedurla, possederla o rigettarla. Geloso e irrazionale, Uwe sembra soffrire la relazione d’amore che lega Christine a Clara, boicottandola con botte e male parole. Christine prova a resistere, sopportando i lividi e trattenendo il livore, odiando e amando insieme il padre della sua bambina. I giorni passano lenti e dolenti esercitando con crudeltà la loro violenza.
Recensione: C’è un grande silenzio nell’ultimo film di Philip Gröning, che mette in schermo la quotidianità di una giovane famiglia tedesca e la violenza odiosa sulle donne, quella che distrugge la parola come condizione fondamentale del rapporto tra i sessi. Diviso in cinquantanove capitoli, che aprono e chiudono immagini di smisurata bellezza e profondo orrore, La moglie del poliziotto è un’esperienza che richiede una disciplina emozionale congiunta a una resistenza fisica. Perché Gröning impone allo spettatore uno sforzo fisico prolungato e sviluppato lungo tre interminabili ore, che valicano lentamente il limite, dissipando una famiglia e annientando vittima e carnefice. Visione fatta di ellissi e di buchi, di addensamenti e rarefazioni narrative, di ricordi e visioni, di dolcezza e miseria, La moglie del poliziotto procede per inquadrature frontali, immagini fisse o in fuga, particolari insignificanti o solenni, inerzia o operosità, azioni interrotte o dilazionate, interni ed esterni, condizioni rimosse o confermate, pose plastiche da sacra rappresentazione, una via crucis che accompagna la cronaca di un martirio. E lo sguardo, prima insofferente all’interruzione sul nero che cadenza i capitoli, adesso è grato dell’intervallo che scivola presto in una negazione spacciata ancora una volta per amore.
L’autore tedesco dispiega di nuovo sullo schermo una complessità polifonica che trova nei segni (e nelle cose che diventano segni) gli organismi testuali capaci di produrre senso. Così ad esempio la nudità livida della protagonista si fa segno del proprio sentimento depressivo e del delirio di un uomo che vorrebbe colonizzare un territorio che non ha confini. L’angoscia di Uwe cresce davanti a uno splendore che non si può governare perché irriducibile, molteplice, infinito. Alla maniera della natura, che Christine e Clara frequentano, nutrono, coltivano e osservano abbandonandosi sui prati o lungo i corsi d’acqua, madre e figlia si muovono al ritmo di una danza.
Partito come una fiaba, con boschi, castelli, coniglietti pasquali e principe biondo, La moglie del poliziotto esaurisce i suoi protagonisti e si esaurisce in una visione mostruosa ‘sopportata’ dallo spettatore e dall’ombra senile di Uwe, che ha disertato il corpo e annientato l’anima di Christine, protezione fobica rispetto al (suo) terrore della solitudine. Fuori campo restano la comunità e i perché. Ma perché poi sapere dell’ostinazione di Christine o del ‘vandalismo’ osceno di Uwe, le cose sono là, così un uomo e una donna, e il cinema di Gröning le e li rivela in una rigorosa marcia funebre interrotta dagli occhi spalancati di Clara che dicono di un tradimento. Il più meschino.