La potestà legislativa in materia socio assistenziale spetta alle Regioni, in base al nuovo art.117 introdotto con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Si tratta di una tematica complessa, i cui confini si intersecano con materie di potestà legislativa concorrente (ad es. istruzione e tutela della salute) o esclusiva dello Stato, come ad esempio l’immigrazione e l’ordinamento civile. Il legislatore statale deve procedere cautamente su queste linee di confine per non dare luogo a conflitti di attribuzione, ma deve ugualmente legiferare e correre il rischio.
Quella cautela è evidente nella legge delega 206/2021 per l’efficienza del processo civile e per i procedimenti in materia di diritti delle persone, dei minorenni e delle famiglie. Qui, infatti, il legislatore non può ignorare la presenza di figure professionali e istituzionali che si attivano a margine del processo, come gli assistenti sociali e i servizi di protezione dell’infanzia. Benché non spetti al legislatore delegante entrare nei dettagli ma soltanto formulare principi e criteri direttivi per il legislatore delegato, sono tuttavia individuabili nella legge delega alcuni paletti che vale la pena mettere in evidenza.
Più che di paletti, si tratta di paracarri. Tale, infatti, è la diffidenza nei confronti dei servizi che il loro intervento nel processo viene scandito rigorosamente.
Di servizi socio assistenziali e sanitari si parla nel comma 23 dell’art. 1 della legge 206/2021, e precisamente nella lettera b), nella lettera ff), e nella lettera gg). La lettera ff) stabilisce che il legislatore delegato dovrà: “adottare puntuali disposizioni per regolamentare l’intervento dei servizi socio assistenziali o sanitari in funzione di monitoraggio, controllo e accertamento, prevedendo che nelle relazioni redatte siano tenuti distinti con chiarezza i fatti accertati, le dichiarazioni rese dalle parti, e le valutazioni formulate dagli operatori”. I difensori e le parti hanno diritto di avere visione di ogni relazione ed accertamento compiuto dai servizi. In caso di violenze di genere o domestiche il loro intervento potrà essere richiesto dal giudice solo con adeguata motivazione e solo in quanto specificamente diretto alla protezione della vittima e del minore, fermo restando il principio generale dell’interesse del minore a mantenere relazioni significative con i genitori.
In forza della lettera gg) dovranno essere disciplinati i presupposti e i limiti dell’affidamento dei minorenni al servizio sociale, riformando i procedimenti previsti dal codice civile e dalla legge 184/1983. Viene introdotto in quei procedimenti il divieto di svolgere funzioni di assistente sociale o di giudice onorario a coloro che rivestono cariche rappresentative o collaborano con strutture o comunità che ospitano minori. E’ inoltre vietato l’affidamento di minori a parenti o affini del giudice che ha disposto il collocamento o del consulente o assistente sociale che hanno partecipato al procedimento. Tale esasperante minuzia echeggia il c.d. caso Bibbiano e vuole individuare il sistema che potrebbe evitarne altri.
Anche la lettera b) del comma in esame fa cenno ai servizi sociali, ai quali il giudice può affidare l’incarico di accompagnare il minore agli incontri con i genitori quando egli si rifiuti di incontrarne uno o entrambi. La norma è stata scritta pensando evidentemente ai casi di altissima conflittualità fra genitori separati e a quelli di sindrome da alienazione parentale.
Il compito affidato al legislatore delegato in questa materia è particolarmente gravoso, trattandosi di intervenire non soltanto sul piano del diritto minorile e di famiglia relazionale e patrimoniale, ma anche sul sistema di protezione giudiziaria dell’infanzia e del rapporto fra giudice e servizi sociali.
Non resta che attendere l’emanazione dei decreti delegati, sperando che ne escano soluzioni efficaci e condivise.
Luigi Fadiga