ABBANDONATA DAL DESTINO
• REGISTA: Peter Levin.
• GENERE: drammatico.
• PAESE DI PRODUZIONE: USA.
• ANNO: 2005.
• DURATA: 104 minuti.
• COLORE: colore.
•ATTORI PRINCIPALI: Thora Birch, Michael Riley, Robert Bockstael, Makyla Smith, Kelly Lynch, Jennifer Pisana.
• TRAMA: La vera storia di Liz Murray raccontata da Peter Levin.
Liz Murray, figlia di tossicodipendenti, cresciuta in un contesto familiare squallido e degradato, si ritrova a dover affrontare da sola la vita in un istituto per minori dove non otterrà tutela e protezione, ma altri maltrattamenti e disinteresse nei suoi confronti. La giovane Liz si accorge ben presto di possedere un’intelligenza ben al di sopra della media e grazie alla sua voglia di riscatto e alla sua forza di volontà riesce ad aprirsi le porte di una delle più grandi e celebri università americane, Harvard.
Film toccante che riesce a raccontare una storia difficile che ha come tema centrale la voglia di misurarsi con la vita e di andare contro le avversità che ci può riservare il destino. Nel corso del film, il filo conduttore è individuato nel forte legame tra madre e figlia che, benché deleterio per lo sviluppo di una bambina a causa della tossicodipendenza della prima, rappresenta l’unico punto di forza che condurrà la protagonista ad una continua ricerca di una vita serena e soddisfacente. “Abbandonata dal destino” è un film crudo, che racconta come, nonostante le avversità della vita, la forza d’animo e la determinazione possano essere qualità valide per potersi realizzare in una società piena di ostilità.
I QUATTROCENTO COLPI
• REGISTA: François Truffaut
• GENERE: drammatico
• PAESE DI PRODUZIONE: Francia
• ANNO: 1959
• DURATA: 99 minuti
• COLORE: B/N
• ATTORI PRINCIPALI: Jean-Pierre Léaud, Albert Rémy, Claire Maurier, Patrick Auffay, Georges Flamant, Jeanne Moreau
• TRAMA: La storia si svolge a Parigi alla fine degli anni Cinquanta. Antoine Doinel è un ragazzino di 12 anni, vive con i genitori che mal ne interpretano i bisogni affettivi e le inquietudini tipiche dell’adolescenza, la madre un poco civetta e poco disponibile alle effusioni del ragazzo, il padre (che in realtà è tale solo sotto il profilo legale), abbastanza bonario ma superficiale e solo interessato alle gare automobilistiche. La famiglia vive in un piccolo appartamento, dove Antoine non possiede una propria camera da letto, infatti dorme nell’ingresso, vicino alla porta di casa. Anche a scuola Antoine si fa notare per la sua irrequietezza, lo scarso rendimento e per gli scherzi che combina, tanto che finisce in molte occasioni per diventare il capro espiatorio di marachelle altrui. Tutte le azioni di Antoine sono un mezzo, non sempre consapevole, per attirare l’attenzione degli adulti su di sé e per protestare contro la loro insensibilità e la loro ostilità. Il solo conforto alla sua solitudine è l’amicizia col coetaneo René, solidale con lui anche per la difficile situazione familiare, con cui cerca di vivere la propria adolescenza serenamente. Ad ogni modo continuamente non capito, finirà per essere abbandonato in un istituto proprio per volere dei genitori.
L’EDUCAZIONE FISICA DELLE FANCIULLE
• REGISTA: John Irvin.
• GENERE: drammatico.
• PAESE DI PRODUZIONE: Repubblica Ceca, Regno Unito, Italia.
• ANNO: 2005.
• DURATA: 102 minuti.
• COLORE: colore.
• ATTORI PRINCIPALI: Jacqueline Bisset, Hannah Taylor-Gordon, Anna Maguire, Emily Pimm, Natalia Tena, Anya Lahiri.
• TRAMA: “Se fai il cattivo ti mando in collegio”. Quanti di voi avranno sentito questa frase dai propri genitori quando erano bambini? Da sempre questi centri di istruzione per giovani e giovanissimi rappresentano nell’immaginario collettivo un luogo da evitare. Se poi si tratta di un collegio esclusivamente femminile, dove l’educazione è impartita sotto la supervisione della direttrice tirannica Jacqueline Bisset, allora il passo per identificare il tutto come una prigione è brevissimo. Sono queste le premesse da cui parte “L’educazione fisica delle fanciulle”, il nuovo film di John Irvin, tratto dal romanzo omonimo di Frank Wedekind. Siamo ad inizio secolo, l’impero austro-ungarico ormai volge al tramonto, ma l’aristocratica cultura maschilista dell’epoca ancora costringe il gentil sesso ad avere una formazione culturale di tipo servile. E così fin dalla tenera età, molte bambine si trovano costrette a studiare le buone maniere nell’ attesa che il mondo “là fuori” le accolga. Nel frattempo lì dentro nascono amicizie, amori e tradimenti. Una storia sulla perdita dell’innocenza, sulla ciclicità con cui vittime e carnefici si scambiano continuamente ruoli e posizioni. Difficile, se non impossibile, sottrarsi al proprio destino. John Irvin ci accompagna in questi luoghi con piglio sicuro, e adeguato.
LA PICCOLA PRINCIPESSA
• REGISTA: Alfonso Cuaròn.
• GENERE: drammatico.
• PAESE DI PRODUZIONE: USA.
• ANNO: 1995.
• DURATA: 97 minuti.
• COLORE: colore.
• ATTORI PRINCIPALI: Liesel Matthews, Eleanor Bron, Liam Cunningham, Rusty Schwimmer, Arthur Malet, Vanessa Lee Chester.
• TRAMA: La piccola Sarah Crewe, orfana di madre, vive felice in India con suo padre, capitano dell’esercito inglese, che la riempie di attenzioni. Allo scoppio della prima guerra mondiale, però, il capitano Crewe viene inviato a combattere in Africa e Sarah, rimasta sola, viene mandata a New York per frequentare lo stesso esclusivo collegio frequentato un tempo da sua madre. Lì, Sarah si scontra con la durezza dell’istituzione e con la preside, la signorina Minchin per la quale la bambina, così esuberante e creativa, è soltanto fonte di guai. All’arrivo della notizia della morte del capitano Crewe, Sarah non viene allontanata dal collegio, ma le viene imposto di fare la sguattera per provvedere al proprio mantenimento. Solo grazie al coraggio, all’immaginazione infantile e all’autostima, la piccola Sarah riuscirà a cambiare il corso della vita sua e di quelli che le sono vicini.
LA RAGAZZA DEL RIFORMATORIO
• REGISTA: Donald Wrye.
• GENERE: drammatico.
• PAESE DI PRODUZIONE: USA.
• ANNO: 1974.
• DURATA: 98 minuti.
• COLORE: colore.
• ATTORI PRINCIPALI: Kim Hunter, Linda Blair, Joanna Miles, Allyn Ann McLerie.
• TRAMA: Christine è una ragazzina di quattordici anni fuggita per la sesta volta da un padre iroso e da una madre nevrotica. Non troverà un ambiente migliore nell’istituto di “recupero”. Dramma psicologico di acuta analisi sociale, che fa riflettere circa i trattamenti riservati ai minori all’interno degli istituti: “L’istituto emargina e non educa”. La struttura rappresentata appare assolutamente un luogo inadeguato al benessere e alla tutela dei minori ma, al contrario, adatto ad aggravare la vita di ogni ragazza. La protagonista nel corso della sua permanenza in istituto subisce una forte perturbazione tale da determinare un peggioramento della sua situazione che la condurrà ad un totale adattamento di un comportamento deviante presentato da tutte le ragazze, senza nessuna prospettiva di recupero.
LES CHORISTES
• REGISTA: Christophe Barratier.
• GENERE: drammatico.
• PAESE DI PRODUZIONE: Francia, Svizzera.
• ANNO: 2004.
• DURATA: 97 minuti.
• COLORE: colore.
• ATTORI PRINCIPALI: Gérard Jugnot, François Berléand, Jean-Baptiste Maunier, Kad Mérad, Jean-Paul Bonnaire, Marie Bunel.
• TRAMA: Il direttore d’orchestra Pierre Morhange incontra il suo vecchio amico d’infanzia Pepinot, con cui frequentava il collegio “Fond de l’Etang” da bambino. Pepinot ha qualcosa da mostrargli: il diario su cui il loro vecchio sorvegliante Clement Mathieu annotava tutto ciò che accadeva nel collegio. Pierre decide di dargli un’occhiata e leggendo ripercorre la sua esperienza al Fond de l’Etang dal punto di vista del sorvegliante. Clement era un compositore e insegnante di musica disoccupato che aveva accettato l’impiego di sorvegliante in un collegio composto da soli ragazzi, la maggior parte di loro con problemi caratteriali. Restio ad adottare i metodi violenti e autoritari imposti dal suo Direttore, Clement è convinto di poter stimolare e comprendere i ragazzi istituendo un coro di classe. Seppur inimicandosi il rigido direttore del collegio, il sorvegliante riuscirà a tirar fuori da ognuno dei ragazzi il meglio di loro.
Fond de l’Etang, il nome della località dove sorge il collegio, non è casuale: la sua traduzione in italiano è “Fondo dello stagno”, un’immagine eloquente che evoca acque melmose, che invischiano chi vi si avventuri, che non danno scampo al malcapitato che dovesse cadervi dentro. In effetti, il collegio di Fond de l’Etang più che una struttura di recupero e supporto per bambini e adolescenti in difficoltà sembra un “parcheggio” o, meglio, un “binario morto” per orfani, figli di famiglie povere, soggetti “difficili” tanto dal punto di vista sociale quanto da quello psicologico. Così, tra le pieghe di un film si fanno largo una serie di elementi di critica, niente affatto banali, a un sistema sociale tendente a isolare il diverso invece di favorirne l’integrazione. Anche la prima immagine del lungo flashback che rievoca la figura di Mathieu sembra suggerire questa lettura: il primo incontro che il futuro sorvegliante fa al suo arrivo in collegio è quello con il piccolo Pépinot, il più giovane e triste degli “ospiti” che, ogni giorno, si reca presso il cancello dell’istituto (la barriera fisica ma anche simbolica che separa i ragazzi dal resto del mondo) ad aspettare l’arrivo di un fantomatico padre che lo porti via con sé lontano da lì.
Le speranze quotidianamente deluse del bambino, al quale è stata detta evidentemente una bugia “pietosa” per lenire l’amarezza del vedersi solo, sono quelle di tutti i giovani ospiti che, molto più realisticamente, invece di attendersi dei genitori che sanno benissimo di non avere (o sui quali sanno di non poter contare) avrebbero il diritto di aspettarsi qualche possibilità in più. Proprio quelle che Mathieu, rifiutando il ruolo di “sorvegliante”, riesce ad offrire loro attraverso la carica umana con cui nutre i propri insegnamenti ma, soprattutto, grazie al valore simbolico che il canto assume rispetto al contesto al cui interno si svolgono le vicende.
Il miracolo dell’insegnante è proprio quello di riuscire, all’interno di un ambiente che tende a isolare gli individui dal contesto sociale, a ricreare un’idea di civiltà e di armonia.
MAGDALENE
• REGISTA: Peter Mullan.
• GENERE: drammatico.
• PAESE DI PRODUZIONE: Regno Unito.
• ANNO: 2002.
• DURATA: 119 minuti.
• COLORE: colore.
• ATTORI PRINCIPALI: Eileen Walsh, Geraldine McEwan, Dorothy Duffy, Annie-Marie Duff.
• TRAMA: Siamo alla fine degli anni sessanta ed in Irlanda le case “Magdalene”, dedicate a Maria Maddalena, sono piuttosto diffuse. All’interno delle suore “tengono in riga” delle donne che hanno perso di vista la “luce di Dio”, riportandole così sulla retta via. Intento lodevole se non fosse per il fatto che queste giovani vengo tenute rinchiuse, segregate lontano da qualsiasi contatto umano, con un’atmosfera simile ad un lager. La loro colpa? Aver avuto una relazione prima del matrimonio, un bambino o semplicemente essere state troppo provocanti. Come espiarla? Dieci ore di lavoro duro (in una lavanderia) per sette giorni alla settimana, senza alcuna retribuzione, con vitto scadente, con l’obbligo del silenzio, ma con tanta preghiera!
Peter Mullan dirige questa storia dove tre ragazze vengono, per motivi diversi, rinchiuse in una delle case “Magdalene”. Bernardette è una ragazza che, secondo la sua direttrice, ha il destino dell’ammaliatrice e per questo deve essere “raddrizzata”, Rose ha invece avuto un bambino senza però avere un marito, peccato mortale, il padre decide quindi di dare in adozione il piccolo (per evitare che sia un bastardo – sostiene lui) e di seppellire la figlia nell’istituto ed infine Margaret, violentata da un cugino, sarà anche lei destinata alla “correzione”. Le ragazze vengono spogliate di ogni identità, a cominciare dai nomi, e costrette ad una serie di soprusi fisici e psicologici che minerebbero anche la volontà più forte. Sotto la sadica e rapace guida della Sorella Bridget percorreranno tutti gli abissi della disperazione e dello sconforto, incapaci di reagire in alcun modo, ormai plagiate dalla volontà delle suore. Di contro l’opulenza della vita di queste dedite all’accumulo di denaro alle spalle delle loro “protette”. Risulta chiaro che l’unico modo di uscire da questa prigione di una vita senza speranza può essere solo la morte o, peggio ancora, la presa dei voti che trasformerà le ragazze nel loro peggiore incubo: le suore stesse.
Ben diretto e ben girato, il film riesce a colpire lo spettatore lasciandolo attonito.
MERY PER SEMPRE
• REGISTA: Marco Risi.
• GENERE: drammatico.
• PAESE DI PRODUZIONE: Italia.
• ANNO: 1989.
• DURATA: 102 minuti.
• COLORE: colore.
• ATTORI PRINCIPALI: Michele Placido, Claudio Amendola, Francesco Benigno, Alessandro Di Sanzo, Roberto Mariano, Gianluca Favilla.
• TRAMA: Al riformatorio Malaspina di Palermo il degrado e la disperazione sono le uniche realtà con cui ci si confronta, e ci si scontra, quotidianamente. Solo contro tutti, il professor Marco Terzi cercherà di conquistare la fiducia di un gruppo di ragazzi dal passato tragico e turbolento e d’infondere in loro un barlume di speranza e d’umanità.
Basato sull’omonimo romanzo di Aurelio Grimaldi, Mery per sempre di Marco Risi offre uno spaccato di vita all’interno di un’istituzione carceraria minorile e punta il dito accusatorio su una società perennemente assente e inadeguata ad espletare il proprio ruolo (ri)educativo e formativo. Imbrigliati in una subcultura delinquenziale di stampo mafioso, i giovani reclusi sono al tempo stesso fautori e vittime di un’ineluttabile spirale omertosa che li avvolge e li travolge verso l’abisso morale, etico ed esistenziale. Complici di tale brutalità e squallore sono le altrettanto criminose ed a volte ingiustificate imposizioni comportamentali e gerarchiche all’interno di un riformatorio che mira alla completa privazione di ogni forma di libertà e solidarietà tra i detenuti. Voce fuori dal coro, il professor Marco Terzi incarna quel grido d’indignazione verso il muro di gomma che permea l’intera struttura carceraria, ma non solo, e s’impegna ad offrire uno spiraglio di riscatto per mezzo della più sincera e sentita comprensione. Il finale denso di significato e foriero di una qualche speranza fa intravvedere una tenue consapevolezza in un destino migliore e una riconsiderazione delle regole etiche e morali all’interno del riformatorio.
OLIVER TWIST
• REGISTA: Roman Polański.
• GENERE: drammatico.
• PAESE DI PRODUZIONE: Regno Unito, Repubblica Ceca, Francia, Italia.
• ANNO: 2005.
• DURATA: 125 minuti.
• COLORE: colore.
• ATTORI PRINCIPALI: Ben Kingsley, Frances Cuka, Barney Clark, Lewis Chase, Jake Curran, Harry Eden.
• TRAMA: L’Oliver Twist di Polanski inizia fornendo qualche dettaglio sull’Inghilterra ottocentesca e sulla difficile condizione di vita infantile, specie se orfana, in una società dominata da convenzioni sociali e con una marcata distinzione tra ricchezza e povertà. Il flusso si infittisce, prende corpo e lo spettatore vive in simbiosi con il protagonista, attraverso le mille peripezie che è costretto ad affrontare. In questa linearità narrativa, lo sguardo spettatoriale procede di pari passo con l’evolversi del racconto. Diventa una storia di umanità e non, dove la lealtà e la bontà d’animo sembrano soppiantate dal tradimento e dalla prevaricazione e gli abusi e le ingiustizie poter avere la meglio su tutto. Più che la narrazione in sé,è la varietà di personaggi con cui Oliver deve confrontarsi che affascina, la forza d’animo che lo caratterizza. Personalità complesse che mettono in risalto come la distinzione pratica ricchi-poveri porta in realtà a conseguenze più grandi dal punto di vista morale. Il mondo che ne esce è crudo e violento, dove si vive di speranze e bisogna farsi guidare necessariamente dal proprio coraggio e dalla forza d’animo. Ma è anche un mondo dove il cerchio prima o poi si chiuderà e metterà fine alle numerose ingiustizie, talvolta con prezzi da pagare.
PHILOMENA
REGISTA: Stephen Frears.
• GENERE: drammatico, biografico.
• PAESE DI PRODUZIONE: Francia, Regno Unito, Stati Uniti.
• ANNO: 2013.
• DURATA: 94 minuti.
• COLORE: colore.
• ATTORI PRINCIPALI: Judi Dench, Steve Coogan, Sophie Kennedy Clark, Anna Maxwell Martin, Ruth McCabe, Barbara Jefford.
TRAMA: In una spensierata serata passata vagando per una fiera, la giovane Philomena incontra un ragazzo che la seduce emulando un vecchietto; da lì l’infatuazione, che col lento e inesorabile trascorrere degli anni matura in amore, benché trasferito al frutto di quell’incontro colpevole, o per lo meno percepito tale. Per scontare il peccaminoso concepimento di quella notte eterna, Philomena viene segregata per quattro anni in un convento, dove le suore sembrano aborrire il dono della procreazione, tanto da cadere in una tremenda eresia che sa più di impiastricciato puritanesimo anziché cristianesimo, ossia rendere il travaglio delle ragazze-madri un inferno. Non senza epiloghi nefasti, che spesso e volentieri comportano la soppressione di quella vita che eppure si dice di voler difendere con le unghie e con i denti. Una stortura insomma, quella anzitutto di confondere il peccato con il peccatore.
La saggia Philomena certe cose le sa e aspetta. La sua è una Fede genuina, quella degli ultimi: non si adira, non si dispera, non porta rancore; pur consapevole della sua talvolta eccessiva semplicità non avverte mai disagio, anzi, coltiva la virtù. Un esempio positivo, insomma, da non equivocare con un’eroina laica qualunque, dato che in lei Fede ed obbedienza coesistono e si alimentano a vicenda. Non si spiegherebbe diversamente il silenzio durato quasi cinquant’anni da quel giorno in cui il suo di figlio, Anthony, le viene definitivamente sottratto. Da allora ulteriore sofferenza, quella di una madre monca, amputata di una parte di sé, non di rado in questi casi la migliore.
Finché un giorno non decide che il tempo scorre più in fretta di quanto si riesca a scandirlo, ed allora decide di ritrovare quel figlio che oramai altro non sarà che un emerito sconosciuto. Per questo, con l’intervento della figlia, decide di rivolgersi ad un giornalista, uno di quelli noti peraltro. Uno la cui carriera ha di recente assunto una piega pessima e che diversamente non avrebbe mai accettato di occuparsi di uno dei tanti «casi umani» sparsi per il mondo. Nondimeno Martin Sixsmith ci mette poco a comprendere la portata dell’impegno assunto inizialmente per il comprensibile desiderio di batter cassa. Parte così la caccia al figlio di Philomena, adottato quando ancora era piccolo e da allora dolorosamente scomparso.
Il film è biografico in quanto veramente ispirato alla storia di Philomena Lee raccontata tramite il romanzo scritto nel 2009 da Martin Sixsmith intitolato The Lost Child of Philomena Lee, pubblicato in Italia da Edizioni Piemme con il titolo Philomena, in concomitanza con la distribuzione del film. Dalla pellicola si evincono i danni provocati dagli istituti nelle ragazze soprattutto dal punto di vista psicologico nel corso della propria vita. La separazione dai propri figli, contro la loro volontà, è l’elemento decisivo che provoca una perturbazione, una modifica del proprio sé a differenza della loro percezione iniziale.
RAGAZZE INTERROTTE
• REGISTA: James Mangold.
• GENERE: biografico, drammatico.
• PAESE DI PRODUZIONE: USA.
• ANNO: 1999.
• DURATA: 125 minuti.
• COLORE: colore
• ATTORI PRINCIPALI: Winona Ryder, Angelina Jolie, Clea Duvall, Brittany Murphy, Elisabeth Moss, Jared Leto.
TRAMA: E’ il 1967 e la diciassettenne Susanna somiglia a tante altre adolescenti americane sue coetanee: è confusa, insicura e cerca disperatamente di dare un senso al mondo in veloce cambiamento che la circonda. Ma lo psichiatra con cui si incontra – per la gentile concessione dei suoi genitori – dà a questo un nome preciso, disturbi marginali della personalità – “che si manifestano attraverso un incertezza riguardante la propria immagine, gli obiettivi a lungo termine, i tipi di amicizie o di amori da avere e i valori da adottare” – e se ne lava le mani spedendola al Claymoore Hospital. Qui Susanna conosce un gruppo di ragazze fuori dagli schemi, che non solo diventano le sue più care amiche, ma le illuminano la via per ritrovare una persona che aveva perso di vista: se stessa. Adattamento del diario scritto da Susanna Kaysen “La ragazza interrotta” traccia una linea sottile tra normalità e patologia. L’elemento di base del film è il maltrattamento psicologico subito spesso all’interno delle proprie famiglie, ma non riconosciuto e individuato come causa dei conseguenti disturbi mentali. La visione della follia presentata è intesa secondo il punto di vista di Foucault il quale affermava che: “ il matto è chi non serve alla società economicamente intesa, la contesta fino a costituirsi fastidioso elemento di disturbo”. Per questo motivo l’istituto psichiatrico si configura come luogo con l’unico scopo di isolare i malati mentali dal resto della società, per riparare e proteggere coloro ritenuti “normali”.
THE SLEEPERS
• REGISTA: Barry Levinson.
• GENERE: drammatico.
• PAESE DI PRODUZIONE: USA.
• ANNO: 1996.
• DURATA: 145 minuti.
• COLORE: colore.
• ATTORI PRINCIPALI: Kevin Bacon, Brad Pitt, Vittorio Gassman, Dustin Hoffman, Robert De Niro, Jason Patric.
• TRAMA: A metà degli anni ’60, nel quartiere di Hell’s Kitchen a Manhattan, Lorenzo Carcaterra, Michael Sullivan, John Reilly e Tommy Cohen Marcano sono tre ragazzini che vivono nel mezzo della malavita e di situazioni familiari al limite del disumano. Attratti dalle gesta del boss King Benny, i quattro amici sognano di diventare veri gangster, e per provare il loro valore decidono di rubare il carretto di un venditore ambulante di hot-dog. Durante la fuga però, i ragazzi feriscono accidentalmente un passante, e per questo vengono condannati a passare alcuni mesi di dentizione nel riformatorio maschile Wilkinson. Durante la loro reclusione però, i quattro ragazzini saranno vittime di abusi sessuali da parte dei secondini dell’istituto, campeggiati dalla guardia Sean Nokes. Passano gli anni e i quattro amici intraprendono strade diverse. Lorenzo è diventato giornalista, mentre Michael procuratore distrettuale. John e Tommy, diventati nel frattempo tossicodipendenti e killer professionisti, incontrano casualmente in un bar proprio Nokes, e in un impeto di rabbia lo uccidono. Rintracciati gli altri compagni, decidono così di mettere in atto una vera e propria caccia all’uomo con cui scovare ed eliminare gli aguzzi responsabili dei loro abusi giovanili.
Sleepers si presenta come un film crudo e tagliente, per nulla arido di dettagli e di sonore scudisciate alla disturbante realtà di un fenomeno troppo a lungo celato. Il tema dell’abuso infantile, perpetrato direttamente dall’autorità che dovrebbe invece proteggerci, è una delle paure ancestrali della società contemporanea, fatto di cronaca sempre più protagonista della cultura del nostro tempo. Il regista Barry Levison si destreggia mirabilmente in un tema scomodo, viscido e melmoso, attingendo fedelmente alla struggente sceneggiatura-biografia di Lorenzo Carcaterra, chiamato a narrare in prima persona il terribile dramma della sua giovinezza. Un film che parla di vendetta, una giusta vendetta anche se compiuta da due killer; una vendetta che parte da chi, come Michael, proprio la vendetta dovrebbe eliminare, in nome della giustizia. Una vendetta che viene infine raccontata e tramandata, come decide di fare Lorenzo, in modo che la memoria non si offuschi e che altri poveri innocenti possano trovare la voce che tanto hanno desiderato
Questa sezione è stata realizzata grazie alla collaborazione della dott.ssa Livia Fugalli, corsista del master “Tutela, diritti e protezione dei minori”, a.a 2013/2014