La giornata mondiale per la diversità culturale rappresenta l’occasione per tentare una disamina della crisi contemporanea.

L’incontro con le differenze, l’analisi, la coscientizzazione delle implicazioni sociali e culturali è e deve restare un obiettivo formativo ed autoformativo costante, perché ci consente di costruire le connessioni di significato utili ad orientarci nel mondo della complessità, ma rappresenta anche il mezzo mai retorico o strumentale di raccordo, intersezione e incontro delle culture differenti nella scuola e nel sociale.

Infatti, credo che il centro significante a partire dal quale, un tempo, abbiamo disegnato la nostra idea del mondo, oggi si sia scomposto, denunciando l’inadeguatezza dei concetti di centro-periferia, superiorità-inferiorità, civiltà-inciviltà, cittadini-stranieri nel costruire narrazioni coerenti. Siamo costantemente impegnati a ridefinirci, riaffermarci, ripensare il senso esistenziale del nostro tempo, perché nell’ambiente esperienziale che abitiamo e che ci abita il divenire ha preso il posto dell’essere. La nostra sofferta identità è un processo in costante mutamento che si vede costretta a rinegoziare le sue molteplici appartenenze.

Per questo motivo penso che i presupposti della formazione interculturale riguardino i comportamenti, la loro coscientizzazione e la loro evoluzione. Il comportamento è largamente condizionato dallo sguardo, dalla sua direzionalità e consapevolezza; dunque dalla capacità di coglierne gli impliciti pre-giudiziali. Per sguardo intendo il modo di guardare e/o occultare la realtà. Ne sottolineo insomma l’implicita e – spesso oscura – componente ideologica.

Di qui, la proposta operativa di fare educazione interculturale a partire da una profonda opera di diafanizzazione etica ed epistemologica dei miti sui quali si costruisce tanta comunicazione mas mediale. Per questo motivo ritengo che un prerequisito ineliminabile di tale educazione sia nella costruzione di un sapere che ci aiuti a capire il presente, le sue retoriche univoche e la sua anima plurale.

E dunque, dobbiamo imparare a leggere le differenze e costruire l’educazione che ci aiuti a farlo nel modo più efficace e più esteso possibile, cioè: ad essere ospitali nel duplice significato del termine, ovvero, l’ospitalità che si dona e al contempo si riceve. Da un punto di vista propriamente educativo e seguendo il filo della riflessione sin qui tracciata, ritengo che il soggetto si costituisca, si formi e si crei proprio nell’assunzione di responsabilità verso l’irriducibile differenza dell’altro.

La mia proposta presuppone un modo di guardare alle culture con una intenzionalità più estetica che interessata a stabilirne il tasso di verità. L’estetica, infatti, non cerca l’universalità in una comunità, bensì i suoi segni paradigmatici ad alto spessore simbolico, onirico, artistico delle sue manifestazioni. Del resto, in una società multietnica, lo sguardo estetico è l’unico che ci consente di conciliare la pace sociale con la libertà. Ma uno sguardo estetico è uno sguardo relazionale, che coglie nessi di significazione fra fenomeni, individui e culture apparentemente lontani.

Nella relazione interculturale, fine dell’educazione diviene così la coscientizzazione della propria specifica e individuale responsabilità nella costruzione della conoscenza, e, di conseguenza, nel rapporto con il mondo, con i mondi, con l’identità, con gli altri. A partire dagli stranieri, in quanto ospiti che ci accolgono e che accogliamo.

Uno sguardo quindi che non esclude, che valorizza le differenze come segni irripetibili ed autentici, che è in grado di cogliere i significati nella differenza rispetto alla propria identità culturale, etica, sociale. Si tratta di un orientamento dell’osservazione che non parte dal proprio punto di vista pensato come esclusivo, o come detentore del massimo significato, ma anzi che può spostarsi alla ricerca di significati altri che la possano arricchire. Il fine educativo è in una sapienza interculturale in grado di esercitare sul soggetto un’autosservazione costante, umile, lucida e appassionata, capace di smuovere il proprio punto visuale e di cogliere, insieme alle suggestioni della sensibilità, le componenti scientifiche e razionali dell’alterità.

Anita GramignaProfessore Associato di Pedagogia Generale e SocialeUniversità degli Studi di Ferrara

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