Regia: Giuseppe Piccioni
Genere: Commedia
Tipologia: Disagio giovanile, Il mondo della scuola
Interpreti: Margherita Buy, Riccardo Scamarcio, Roberto Herlitzka, Davide Giordano, Nina Torresi, Lucia Mascino, Silvia D’Amico, Ionut Paun
Origine: Italia
Anno: 2012
Trama: Quattro storie, sotto il profilo scolastico ed umano, si incontrano e si intrecciano in un liceo romano. La giovane preside, rigida e ligia al suo ruolo, man mano che si occupa con sempre maggiori premure e dedizione a uno studente di quattordici anni con gravi difficoltà familiari, pone continue deroghe al suo pur limitato budget scolastico. Un ragazzo di origine rumena, figlio e studente modello, allaccia una relazione, dai possibili risvolti tragici, con un’ affascinante e difficile sedicenne italiana. Di fronte agli alunni delle ultime generazioni, l’ autorevole e anziano professore di storia dell’arte, Fiorito, perde tutto l’entusiasmo per il proprio lavoro e non crede più nella buona funzione della scuola, mentre il giovane supplente di lettere, il professor Prezioso, invece, giunge all’istituto animato da grandi buoni propositi. Entrambi vanno incontro a disillusioni e amarezze. L’uno pensa di contrapporsi allo scetticismo e opacità degli studenti con toni sarcastici ed atteggiamenti stravaganti; l’altro si procura soltanto dispiaceri, disarmato dalla loro ambiguità e dal loro disincanto. Alla fine il primo ritroverà un barlume di entusiasmo per il proprio lavoro attraverso l’inaspettato incontro con una ex alunna, sensibile e piena di voglia di vivere, che gli è profondamente riconoscente per il suo carisma didattico e personale, e l’altro finirà per trovare i toni e lo slancio efficaci per stimolare i ragazzi alla curiosità culturale.
Recensione: Il film di Piccioni è tratto dall’omonimo libro di Marco Lodoli, scrittore e giornalista, ma anche insegnante d’italiano. Esso è una fotografia spietata e veritiera della Scuola del ventunesimo secolo e mette due generazioni a confronto. Due visioni della Scuola che mal collimano e faticosamente convivono in un liceo della periferia romana incartato tra il vecchio e il nuovo, il desiderio di fare, di innovare e l’immobilismo, l’inefficienza. Un liceo continuamente alle prese con le ristrettezze del bilancio scolastico e dove, nell’era della tecnologia avanzata, gli strumenti tecnologici non funzionano perché obsoleti o rotti o perché nessuno li usa o li sa usare. Un liceo dove i professori si accapigliano per una sedia, un ragazzo fragile di mente e dalla salute malferma viene trovato a dormire nella palestra perché abbandonato dalla famiglia. Un liceo dove la disciplina è solo formale e gli studenti bivaccano nella più assoluta apatia, escono ed entrano quando vogliono, discorrono continuamente al cellulare. Un liceo dove un genitore si può permettere di dire al giovane supplente che gli chiede se il figlio ha problemi in famiglia e cerca di conoscere in quale livello culturale vive: «lei non sa chi sono io … io posso comprarmi lei e tutta la scuola … pensi ad insegnare piuttosto che ficcare il naso nella mia famiglia … » o il vecchio professore di storia dell’arte, deluso e infastidito dall’ignoranza sempre più dilagante, fare l’elogio dello studente ignorante, del puro e vero mentecatto. Due generazioni, due Scuole a confronto. Da un lato il tempo in cui c’era sete di sapere e si credeva che esso era l’ambito obiettivo da raggiungere da cui sarebbero potuto scaturire posti di lavoro, il riconoscimento e l’apprezzamento del bello e del giusto, una società migliore. Dall’altro una generazione che disconosce l’arte, la poesia, la formazione culturale e che mette al primo posto il benessere a cui si può arrivare comunque e per vie non direttamente provenienti dalla Scuola, dall’istruzione. Ma c’è un altro dualismo che in quel liceo emerge e che, inespresso, esiste in molte altre realtà scolastiche: il «dentro» e il «fuori». Un «dentro» e un «fuori» nonostante le categoriche asserzioni della preside al giovane supplente quando gli ricorda che ci si deve occupare solo di quello che accade dentro, cercare di insegnare faticosamente qualche cosa nei limiti imposti dal luogo e dalle ore di lavoro. Pur tuttavia è ciò che accade fuori dall’aula che ricompone quello che sembra un dualismo difficile da dirimere e che, invece, porta verso la stessa direzione: la persona, l’uomo, la vita. Ed è fuori che le storie che in questo liceo s’ incrociano, quella della preside, del vecchio professore Fiorito, del giovane entusiasta supplente Prezioso, della intraprendente Angela e dell’impeccabile studente rumeno Adam, attraverso tortuose strade, si aprono a un destino non così catastrofico come le vicende sembrano delineare. La giovane preside, apparentemente rigida e formale, forse perché la vita non le ha donato la maternità, si lascia coinvolgere dagli occhi persi e tristi di Brugnoli, ragazzo abbandonato dalla madre e con problemi mentali e di salute. Lo accompagna in ospedale, gli è accanto, lo sostiene. Fiorito, deluso dai suoi lunghi anni d’insegnamento dedicati ai giovani con impegno e professionalità, scivolato nel baratro della solitudine e più volte a un passo dal suicidio, nell’incontro con la ex alunna, comprende che la sua dedizione alla scuola, il suo servizio alla cultura non sono stati del tutto inutili e riprende le sue lezioni con rinnovato vigore. Prezioso, disilluso anch’egli dalle difficoltà incontrate, si rende conto che non è la poesia, da sola, a salvare il mondo, a fare una buona scuola, a renderla interessante, indispensabile a chi non la ritiene tale (Angela) e si inventa mondi diversi, più appaganti e più facili da raggiungere. Nemmeno a chi la vive in modo impersonale e chiede, con sguardo dolce ed espressivo, si la restituzione della sua biro, ma soprattutto di interagire, instaurare relazioni umane, percorrere insieme quel tratto di strada che porta alla formazione e alla vita. Anche Adam, studente rumeno modello, è fuori dalla scuola che cerca la vera integrazione. Si innamora di Melania, ragazza spregiudicata che, per non restare nel gregge, non fare quello che fanno tutti, lo spinge in un vortice tale da sfiorare la tragedia che solo il buon senso del padre di lui riesce ad evitare. La domanda che l’autore si pone è proprio questa: fino a che punto la scuola e gli insegnanti possono farsi coinvolgere dalla realtà circostante? E sembra darsi anche una risposta. Gli insegnanti, forse, dovrebbero fare entrambe le cose. Istruire senza perdere di vista l’importanza decisiva della realtà in cui il proprio allievo è immerso. Istruire facilitando quelle relazioni umane senza le quali nessuna formazione, culturale e sociale, diviene possibile. Il dualismo «chiuso-aperto», «restrizione-libertà» è sottolineato con amarezza nel finale del film, allorché il piccolo fuggitivo, si trova di fronte a quell’immensità di acqua marina a lungo sognata.
A. C.