Kesi afferra i lembi della stola con la quale si era avvolta i fianchi e l’addome. Tra poco non potrà più nascondere la pancia. Un senso di profonda angoscia e disperazione l’invade. Che cosa ne sarà di lei quando lo sapranno a scuola, quando lo impareranno i suoi genitori? Che cosa ne sarà del bambino? Non è semplice la vita per una ragazza di quattordici anni in Sierra Leone, soprattutto se la tua famiglia è poverissima e tu sei già considerata una giovane e bella donna. Gli uomini non fanno troppa distinzione tra bambine e donne. E, purtroppo, i genitori non fanno troppa distinzione tra i figli quando si tratta di tentare di fare sopravvivere la famiglia.
Il virus Ebola aveva compiuto nel 2015 ciò che la carestia dell’anno precedente non aveva concluso. Il raccolto non aveva dato i frutti sperati, i fratelli maschi di Kesi erano tutti morti cercando di arrabattarsi per portare a casa lo stretto necessario per vivere. Ora restavano solo lei e la sua sorella più piccola, di poco più di dieci anni. Difficile pensare che potessero fare da sole ciò che i loro quattro fratelli maggiori non erano riusciti a fare fino ad ora. In Sierra Leone, quando sei povero, lavorare non basta. Occorre qualcuno che scelga di proteggerti, di finanziare ciò che da solo non potresti mai permetterti. Ma non esistono benefattori in Sierra Leone. Occorrono merci di scambio. I genitori di Kesi non avevano nemmeno un letto su cui dormire. Non avevano nulla da scambiare. Nulla. Eccetto le loro figlie. Era un uomo alto e robusto sui quarantacinque anni quello che, il giorno in cui avevano seppellito l’ultimo dei suoi fratelli, era venuto a fare loro le condoglianze. Aveva chiesto anche se avevano bisogno di qualcosa. Che domanda sciocca, aveva pensato Kesi. Avevano bisogno di tutto, non vedeva in che condizioni vivevano? Poi sua madre l’aveva guardata, dando inizio ad una nuova fase della sua vita, della quale, inizialmente, non aveva capito il senso né la direzione. Quell’uomo era venuto sempre più spesso a casa loro, ma non per passare tempo con i suoi genitori. Per passare tempo con lei. Il più delle volte rimaneva lì a guardarla, senza chiederle niente. Altre volte le chiedeva della scuola, ma si capiva che faceva domande senza che gli importasse nulla delle risposte. Kesi faceva fatica a capire che cosa esattamente quell’uomo volesse da lei, ma pensava che forse non era poi così male, visto che dal momento del suo arrivo avevano mangiato tutti i giorni. Il pomeriggio in cui si era fatto trovare fuori dalla scuola, sulla strada di ritorno verso casa, Kesi aveva sentito un tuffo al cuore. Voleva solo portarla a fare un giro e aveva il permesso dei genitori. Sua madre le aveva già detto più di una volta di essere gentile con quel signore che li stava aiutando, ora che i suoi fratelli non c’erano più e suo padre non riusciva a lavorare abbastanza per sfamarli tutti. Così, nonostante volesse solo tornare a casa, gli aveva sorriso ed aveva acconsentito. Avevano passeggiato a lungo e attraversato il mercato. Le aveva regalato una stola, la stessa che ora usava per nascondere la gravidanza. Kesi non aveva mai ricevuto un regalo in tutta la sua vita. In realtà non l’aveva ricevuto neanche in quel momento perché, a casa di quell’uomo, poche ore dopo, lui si era fatto ricompensare per la sua generosità. L’aveva riaccompagnata a casa stordita, senza la percezione di ciò che realmente era successo. Si era svestita nel buio della sua stanza, accanto alla sorella che già dormiva. E aveva pregato un dio nel quale aveva smesso di credere che a sua sorella non succedesse mai la stessa cosa. Poche settimane dopo lei e quell’uomo facevano ormai coppia fissa. Non era ufficiale ovviamente, è proibito alle donne in Sierra Leone concedersi prima del matrimonio. Persino i suoi genitori continuavano a fare discorsi inutili sulla purezza, fingendo di non sapere dove andasse quando quell’uomo bussava alla porta. Ormai non entrava nemmeno più. Bussava, o la chiamava dalla finestra. E lei usciva, per rientrare in quella casa sempre più svuotata, priva di prospettive, di dignità, anche se il pane in tavola non era più mancato e aveva ottenuto che sua sorella andasse a scuola tutti i giorni. Poi le nausee, le vertigini, il rifiuto dell’odore delle spezie. E il ventre piatto che aveva lentamente cominciato a divenire più pronunciato. Evidentemente le pozioni che le aveva dato di sottobanco sua madre non erano servite. E d’altra parte, che cosa si aspettava? Quando una donna fa con uomo quello che lei faceva praticamente tutti i giorni quale epilogo poteva aspettarsi? Che cosa credeva, che l’avrebbe sposata? Lui era già sposato e aveva sei figli. E comunque non era di certo per sposarla che l’era venuta a cercare. Quando a scuola l’avessero saputo l’avrebbero cacciata, come era successo ad altre prima di lei. Avevano partorito i loro bambini nella vergogna, nel silenzio colpevole di una comunità che non esitava a dare in pasto le proprie donne, le proprie bambine, per poi fingere uno sdegno che ricadeva su chi non aveva mai potuto scegliere. L’unica cosa che aveva ottenuto è che sua sorella venisse risparmiata. Fino ad ora. Ma la sua gravidanza rompeva tutti i piani. E nulla sarebbe più stato come prima. Per quel che la riguardava non lo era più da un pezzo, ma aveva subito tante umiliazioni per proteggere sua sorella, l’ultima cosa pura che le rimaneva della sua vita. Kesi stringe i lembi della stola e si avvia verso quello che molto probabilmente sarà uno dei suoi ultimi giorni di scuola e della sua vita da adolescente, ammesso che un’adolescenza sia per lei mai davvero esistita. Sono moltissime le bambine e ragazze che, in Sierra Leone, vengono cedute con il benestare omertoso delle famiglie, per garantirsi una sopravvivenza economica. Molte di queste, raggiunta la pubertà, restano incinte e sono costrette a portare avanti gravidanze che non hanno cercato e alle quali sono giunte piuttosto inconsapevolmente e che, comunque, cambieranno per sempre le loro vite. Per molti anni sono state cacciate da scuola, relegate ad una vita di miseria e di vergogna dalle quali non sono più riuscite a risollevarsi. Il 30 Marzo 2020, il presidente della Sierra Leone Julius Maada Bio insieme al Ministro dell’Istruzione David Moinina Sengeh hanno annunciato la fine immediata del divieto scolastico introdotto 10 anni fa contro le ragazze visibilmente incinte e le mamme bambine. Il presidente Bio, in carica dall’aprile 2018, ha affermato che il suo governo sta lavorando per creare una nazione più inclusiva. Nel commentare tale mossa, Elin Martinez, ricercatore dirigente dei diritti dei minori di Human Rights Watch, ha affermato che ponendo fine al divieto decennale contro le ragazze incinte e le mamme bambine di frequentare la scuola, il governo della Sierra Leone sta finalmente affrontando un’ingiustizia di vecchia data. Questa misura dà ad ogni ragazza la possibilità di sviluppare il proprio potenziale e riuscire ad ottenere un’istruzione. A tutte le Kesi che ancora vivono nell’ingiustizia, in un mondo che ancora abbassa lo sguardo di fronte alle bambine e alle donne che vengono trattate come merce di scambio, salvo poi additarle come le peggiori meretrici, va il nostro pensiero e il nostro costate tentativo di dare voce a chi vive da troppo tempo nell’invisibilità.