Il Master Tutela, diritti e protezione dei minori celebra il trentennale della Convenzione Onu per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza assieme al Progetto Culturale – Uno Sguardo al Cielo con la presentazione del romanzo:
“Il circo capovolto”
di Milena Magnani
dalle h. 17.00 alle h. 19.00 c/o la sala San Crispino della libreria ibs+Libraccio in Piazza Trento e Trieste, 1 – Ferrara
Il circo capovolto è un romanzo che nasce con l’intenzione di rendere omaggio a tutti gli artisti nomadi, i funamboli , i saltimbanchi , i musicisti viaggianti che sono scomparsi ad Auschwitz Birkenau, e in tanti altri campi ancora. Nasce per loro e per i bambini che ancora oggi sono costretti a vivere nei campi sosta , in mezzo agli scarti della globalizzazione.
E’ la storia di Branko, poeta e sognatore e di un gruppo di bambini rom , proprio quelli che secondo la Convenzione Onu per i diritti dell’infanzia dovrebbero essere oggetto di tutto il nostro rispetto e della nostra premurosa tutela, e invece continuano ad essere esclusi dalle dinamiche della socializzazione, vittime di una cultura dominante che li relega ai margini dei margini, fuori da ogni possibile rivendicazione di cittadinanza.
A trent’anni da tale Convenzione si può riconoscere che molto si è fatto per sensibilizzare la società a una maggiore attenzione per l’Infanzia ma si deve anche ammettere che proprio la realtà dell’infanzia rom rimane uno dei nodi più irrisolti .
E’ questa una delle sfide che si propone il romanzo, farci entrare nelle dinamiche di un campo rom, per mostrarci come, nonostante la facile retorica delle buone intenzioni, i bambini che giocano nelle acque delle fogne, vicino alle baracche, in mezzo alle pance dei lenzuoli stesi, rimangano tra i più vulnerabili in termini di violazione dei diritti.
Tanto da richiedersi necessario un cambiamento radicale di approccio, un ribaltamento dello sguardo che ci faccia uscire dai codici di una società etnocentrica capace di interagire con loro solo attraverso il monocolo del pensiero unico.
E’ questo che prova a fare Branko, discendente di una famiglia di circensi, quando si insedia nel campo con un camion carico di scatoloni e cerca un modo per relazionarsi ai bambini .
Lo fa ribaltando il tradizionale approccio.
Non c’è nelle sue intenzioni l’ idea di socializzare i bambini alle regole di una società dominante, non c’è lo sforzo di far accettare loro le regole omogenee di un tipo di scolarizzazione omologante, c’è piuttosto uno scavalcamento, una sorta di chiusura autoreferenziale sulla loro identità che lo porta a cercare insieme ai bambini il filo che lega la loro condizione di marginalità a quello che era stato un nomadismo sano, quello di un mondo viaggiante pieno di senso, di rispetto e di coerenza interna.
Ogni sera, fuori dalla sua kasolle Branko racconta la storia della sua gente. È la storia di un piccolo circo il Kék Cirkusz e della sua famiglia sterminata nel campo di Birkenau.
La luce del giorno scopre la durezza del vivere, ma al calar del sole Branko riprende il racconto e infine mostra ai ragazzini il contenuto dei misteriosi scatoloni. Dentro c’è un intero circo, con clavette, birilli e trapezi. E allora la sera si colora, e i bambini si trasformano in acrobati, clown, giocolieri.
E’ così attraverso la voce di Branko, dolce, fragrante di sogni e di futuro, che i bambini riprendono un filo di speranza, si impadroniscono di quello che potrà essere il difficile percorso di un riscatto sociale.
Certo è strano che a raccontarci tutto sia la voce di un morto, già perché Branko, l’ungherese verrà ucciso ma non vorrà lasciarci, non fino a quando non è sicuro che i bambini abbiamo capito che l’immaginazione è più forte, che la vita è più forte.