Quando s’indaga su un delitto, per pervenire al presunto autore si utilizzano i cd. mezzi di ricerca della prova (ispezioni, sequestri, intercettazioni) e pian piano l’indagine prende corpo. Si cercano possibili testimoni oculari, si ascoltano tutte le persone informate sui fatti e, quando si ci si muove nell’ambito di alcuni delitti, in particolare di sangue, si cerca il movente.

Secondo la giurisprudenza imperante, il movente non è altro che la causa psichica della condotta umana, ciò che costituisce lo stimolo che induce l’individuo ad agire (cfr. sentenza Cass. n. 466/1993 Sez. 1, dep. 1994, Ha., Rv. 196106 ); è tuttavia solo una parte della più recente giurisprudenza ad affermare che, a volerlo qualificare normativamente, il movente non è che un dolo specifico, che si colloca oltre la coscienza e volontà del fatto. (Corte di Cassazione – Sezioni Unite – 12 ottobre 2023 N. 41570).

Eppure l’imperversare di fatti di cronaca che vedono sempre più coinvolti minorenni e adulti in delitti in cui apparentemente non v’è movente, manda in tilt le teorie delle scienze umane pure e coloro che non credono nella potenza e maggiore esaustività dell’interdisciplinarietà.

E ciò proprio quando si affaccia anche nel settore forense l’impiego dell’intelligenza artificiale,  più in particolare quello deputato alla ricerca degli autori di reato, con  lo specifico obiettivo di prevenire il crimine e volto alla comprensione delle motivazioni di marca psicologica poste alla base dell’agire criminale. Sarebbe corretto dire che tutto quanto sembrava calcolabile e sussumibile in macrocategorie per delineare fatti di reato e il proprio autore appare, invece, oggi quasi privo di significato e sottratto alle logiche tipiche del delitto? Cos’hanno di diverso i reati compiuti recentenente da quelli degli scorsi decenni?

Da un lato, preme da subito placare ogni allarmismo circa l’aumento dei delitti che, in verità, vedono un trend abbastanza stabile dal 2012, con un particolare abbassamento nel biennio Covid (2020-2021); ciononostante, la paura e il comune sentimento d’insicurezza sono stati sentimenti utilizzati, come spesso è accaduto pure per il passato, per legittimare legiferazioni d’emergenza, con evidenti ricadute sui piani sociale ed economico.

Dall’altro è pure illogico pensare all’oggi come frutto dell’estemporaneo, evitare di indagare le cause e le interconnessioni tra queste lascia solo grande spazio a teorie del capro espiatorio non consentendoci di leggere un fenomeno ben più ampio, monitorarne l’ andamento e formulare delle previsioni.

Riconoscere la necessità dell’interdipendenza delle discipline forense, psicologica, sociologica e neuroscientifica, ci consente di arrivare a risposte più esaustive, potendo anche spiegare come mai ci capita di leggere sulle principali testate nazionali “la vittima e il suo assassino non si conoscevano” o “i medici lo avevano visitato senza rilevare alcuna traccia di patologia psichiatrica né remota né recente” .

Ciò perchè non esiste un solo motivo dietro ogni azione, non una sola possibile spiegazione che giustifichi una condotta, anche la più brutale. Talvolta, proprio la non-conoscenza della vittima facilita la sua deumanizzazione, come frequentemente accade, ad esempio, nei delitti commessi in gruppo.

Non va dimenticato che il profilo psicologico dell’autore di reato, utile a ricavare il movente, ma sopratutto a spiegare, almeno in teoria,  l’impulso psicologico alla commissione del reato, è inscindibile dal contesto che questi abita, dalle esperienze vissute, dal grado di scolarizzazione, persino dalle relazioni instaurate con le figure di riferimento.

«Volevo vendicarmi della città per avermi portato via mio figlio. Ho scelto quel ragazzo perché era giovane, felice. E io volevo fare qualcosa di eclatante>> fu detto in sede di condanna due anni dopo dall’assassino di un passante che nel 2019 perse la vita a Torino.

 “Li ho uccisi perché erano troppi felici e per questo mi è montata la rabbia”  è stato anche il movente confessato nel settembre 2020 per l’assassinio di una coppia di innamorati nella propria casa a Lecce; l’uomo aggiungerà:  “volevo vendicarmi: perché la mia vita doveva essere così triste e quella degli altri così allegra?”

Nell’ottobre 2022 in un centro commerciale ad Assago furono accoltallate sei persone, una di questa perse la vita e la risposta ai mille perchè fu “Non so cosa mi sia preso“.

Eliminare il trascorso dal suo autore è come privare una fiaba del “c’era una volta”. E quando le disaguaglianze sono tali e tante,  il malessere vissuto, l’invidia sociale, le discriminazioni, le disparità di trattamento, il mancato riconoscimento di diritti fondamentali dell’individuo, l’abbandono sociale possono dare luogo ad atti spropositati.

Nella società attuale, ci siamo abituati da un lato a pensare che i moventi possano essere solo economico o sessuale, dall’altro a dover inquadrare l’autore del reato in determinate categorie: patriarca, immigrato, pazzo.

E ciò basta perchè l’opinione pubblica monti un’ondata di odio razzista o xenofobo, quasi certamente presto ancora una volta strumentalizzata a livello prima mediatico poi politico.

Reati come questi invece pongono tante questioni, ma empatizzare con il “nemico” ci fa sentire complici e giustificazionisti. Si potrebbe però pensare che dove ci sono storie di solitudine, di violenza, di abbandono, di mancata integrazione, di disagio psicologico, forse la necessità è quella di tendere alla salvaguardia della salute psicosociale piuttosto che rispondere in termini di mero incremento della sicurezza pubblica.

E noi, cosa mettiamo al centro?

Avvocata Marika La Pietra, docente del Master Tutela, diritti e protezione dei minori

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