Regia: Gianni Amelio
Genere: Drammatico
Interpreti: Enrico Lo Verso, Valentina Scalici, Giuseppe Ieracitano, Renato Carpentieri, Florence Darel, Marina Golovine, Vincenzo Peluso, Vitalba Andrea, Maria Pia Di Giovanni, Agostino Zumbo, Santo Santonocito, Lello Serao, Antonino Vittorioso, Fabio Alessandrini, Celeste Brancato, Massimo De Lorenzo
Origine: Svizzera, Germania, Francia, Italia
Anno: 1992
Trama: Rosetta, una ragazza di undici anni di origine siciliana, avviata alla prostituzione dalla madre che vive a Milano separata dal marito, ha un fratellino disadattato, Luciano, che soffre ovviamente della situazione. L’arresto della madre e del cliente di turno fa sì che i due ragazzi vengano affidati ad un istituto per l’infanzia di Civitavecchia. Li accompagnano una coppia di carabinieri, che presto si riduce al solo Antonio, un giovanotto calabrese semplice e di buon cuore, in quanto il collega scende a Bologna per affari privati. Il clima fra i tre è di reciproca diffidenza ed ostilità. Il bimbo non parla e ha problemi d’asma, la ragazza è diffidente e aggressiva. A Civitavecchia l’istituto rifiuta la ragazza, e così Antonio chiede ospitalità ad un collega. I tre approdano in Calabria dove il carabiniere fa ospitare i ragazzi presso la sorella che ha un ristorante. C’è una Prima Comunione, e Rosetta fraternizza con i coetanei mentre Luciano è affascinato da una foto di Antonio piccolo mostratagli dalla nonna di quest’ultimo. Ma il clima idilliaco è rotto bruscamente dal riconoscimento di Rosetta da parte di una giovane parente, che ha letto di lei su una rivista…
Recensione: Girato con uno stile che sembra entrare in punta di piedi nella vita dei suoi personaggi (siamo lontani dal “combact film” che avrebbe caratterizzato il cinema d’autore degli anni successivi), “Ladro di bambini” è in realtà, anche sotto questo profilo un film capolavoro. Sintonizzato sulle note musicali che Francesco Piersanti riduce all’essenziale, suoni dell’anima che fanno da contraltare agli hit musicali dell’epoca (tra cui “I Maschi” di Gianna Nannini e “Le mani” di Zucchero), Amelio gira con tempismo eccezionale, utilizzando un procedimento a fisarmonica che espande e poi condensa l’anima del suo film all’interno di un intreccio volutamente esile, fatto apposta per evidenziare, senza dare la sensazione di farlo, i rami secchi di una società in decadenza: dal quartiere dormitorio che dà l’avvio alla vicenda, simbolo di un nord dove l’immigrazione non si è mai integrata, ai palazzi della capitale in perenne decadenza, e poi con le case abusive del paesaggio calabrese, il regista sembra voler concretizzare in maniera precisa lo sradicamento esistenziale che attanaglia i protagonisti: che si tratti della casa degli orrori dove i due bambini hanno trascorso la loro giovane vita, oppure di quella senza identità, presa in affitto dai colleghi di Antonio, così come l’abitazione della sorella, una specie di ibrido architettonico, con il ristorante al piano terra e le camere senza finestre al piano di sopra, il dramma si acuisce nella mancanza di un posto dove andare od uno in cui tornare. Un disagio che il film riproduce attraverso la presenza costante dei bagagli che i tre sono costretti a trascinarsi: ingombranti, poco maneggevoli quei pesi diventano non solo l’evidenza di una costrizione fisica, ma anche il simbolo di un peso morale, di un marchio che impedisce di essere liberi.