I rituali sono importanti. Danno il ritmo alle nostre giornate. I ritmi danno il senso del controllo, rendono padroni del tempo. Gli antichi sacerdoti egizi avevano costituito il proprio potere sulla conoscenza dei ritmi del cielo e delle piene del Nilo. Chi conosce il respiro del tempo è padrone della vita. I ritmi rendono possibili le attese quindi investimenti emotivi e significazioni che rendono gli eventi propri prima che si realizzino. Senza attesa e desiderio nulla ci appartiene.

Viene bene in proposito il Promemoria di Gianni Rodari[1]. Dice che ci sono cose da fare ogni giorno: lavarsi, studiare, giocare, preparare la tavola a mezzogiorno. E ci sono cose da fare di notte: chiudere gli occhi, dormire, avere sogni da sognare, orecchie per non sentire. Infine, ci sono cose da non fare mai, come, ad esempio la guerra.

È lo scaffolding (letteralmente “fornire l’impalcatura”, cioè una struttura temporanea che viene rimossa appena si finisce di costruire l’edificio). Le impalcature della vita sono collegabili soprattutto alle figure degli adulti che condividono la quotidianità di chi cresce e il ruolo degli adulti è quindi quello di facilitatori nel permettere la crescita dell’auto-organizzazione di chi cresce nello svolgimento di vari compiti.

Chi cresce ha diritto di vivere il presente che attiva una dinamica ricorsiva senza fine. Nessuno può ritenere di aver finito il percorso. Simbolo e realtà si mescolano nella sfericità della Terra. Possiamo percorrerla più volte, e non dire mai “sono arrivato”. Il percorso avanza col bambino là dove è. Cresce e rompe i suoi confini. Vuole sapere … Come fare a mangiare un cibo gustoso … Come dormire piacevolmente … Come vestirsi con abiti belli … Come stare bene con gli altri, e non con chiunque … Come comunicare e ricordare tutto questo … come trasformare un errore in scoperta, e una trasgressione in esplorazione … per vivere la vita presente, non bisogna pensarsi con la parola “fine”. Continueranno altri.

Ho conosciuto un bambino che era sette bambini.

Abitava a Roma, si chiamava Paolo e suo padre era un tranviere.

Però abitava anche a Parigi, si chiamava Jean e suo padre lavorava in una fabbrica di automobili.

Però abitava anche a Berlino, e lassù si chiamava Kurt, e suo padre era un professore di violoncello.

Però abitava anche a Mosca, si chiamava Juri, come Gagarin, e suo padre faceva il muratore e studiava matematica.

Però abitava anche a Nuova Vork, si chiamava Jimmy e suo padre aveva un distributore di benzina.

Quanti ne ho detti? Cinque. Ne mancano due:

uno si chiamava Ciù, viveva a Shanghai e suo padre era un pescatore; l’ultimo si chiamava Pablo, viveva a Buenos Aires e suo padre faceva l’imbianchino.

Paolo, lean, Kurt, luri, Jimmy, Ciù e Pablo erano sette, ma erano sempre lo stesso bambino che aveva otto anni, sapeva già leggere e scrivere e andava in bicicletta senza appoggiare le mani sul manubrio.

Paolo era bruno, Jean biondo, e Kurt castano, ma erano lo stesso bambino. Juri aveva la pelle bianca, Ciù la pelle gialla, ma erano lo stesso bambino. Pablo andava al cinema in spagnolo e Jimmy in inglese, ma erano lo stesso bambino, e ridevano nella stessa lingua. Ora sono cresciuti tutti e sette, e non potranno più farsi la guerra, perché tutti e sette sono un solo uomo[2].

“TULLIO: Un vecchio proverbio romano dice: “Nessuno nasce imparato”. Gli specialisti, psicologi, linguisti, credono di avere oggi cose nuove da dire a questo riguardo. Ma tu, nei sessant’anni (sbaglio?) di esperienza magistrale, di contatti col mondo dell’infanzia che idea ti sei fatto?

MARIO: Un bambino quando viene al mondo è una forza della natura. È come un astronauta sbarcato dalla navicella spaziale per conoscere il pianeta sconosciuto dove dovrà vivere. È dotato di strumenti sofisticati perfetti per ogni tipo di rilevamento: la luce, i colori, i sapori, i suoni, il fresco e il caldo. E di una mente capace di memorizzare, confrontare dati, sintetizzare, riordinare sulla base di nuove esperienze. Una specie di scuola complessa che lui progetta per il suo bisogno incontenibile di sapere come è fatto il suo mondo con la più straordinaria metodologia fondata sul piacere dell’imparare giocando”[3].

Andrea Canevaro pedagogista, professore emerito dell’Università di Bologna e collaboratore del Master


[1] Cfr. Rodari G. (1960 e ristampe), Filastrocche in cielo e in terra, Torino, Einaudi.

[2] Rodari R. (1962), Favole al telefono, Torino, Einaudi.

[3]De Mauro T. e Lodi M. Dialogo sui diritti dei bambini, inAA.VV. (2002), Cari bambine e bambini … La carta dei vostri diritti. New York 20 novembre 1989. Convenzione ONU sui diritti dei minori, Roma, Nuova Iniziativa Editoriale.