1.         Ho già scritto, in una mia precedente riflessione, che la legge 19 luglio 2019 n. 69 per contrastare le violenze domestiche e di genere ha istituito una corsia preferenziale con lo scopo di accelerare al massimo la trattazione dei processi in tale materia. Ha previsto inoltre un aggravamento delle pene, e ha modificato l’art. 577 del Codice penale vietando al giudice di effettuare il giudizio di bilanciamento fra attenuanti e aggravanti. Il testo modificato della norma stabilisce che Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 62, numero 1 (valore morale e sociale), 89 (vizio parziale di mente), 98 (minore età), e 114 (concorso minimo) concorrenti con le circostanze aggravanti di cui al primo comma numero 1, e al secondo comma (futili motivi, contesto familiare o parafamiliare) non possono essere ritenute prevalenti rispetto a queste».

            Si tratta di una modifica molto severa, per effetto della quale ad esempio non è consentito al giudice ridurre la pena dell’ergastolo in quella della reclusione fino a ventuno anni. Questo rigore ha indotto alcuni giudici a dubitare della costituzionalità della norma.

2.         All’esame della Corte costituzionale sono così pervenuti tre casi. Nel primo, un ragazzo da poco diciottenne uccide il padre in occasione di un’ennesima violenta aggressione alla madre al fratello e a lui stesso; nel secondo, una donna uccide il marito autore di innumerevoli comportamenti violenti nei confronti suoi e del figlio; nel terzo, infine, un uomo anziano uccide la moglie quasi coetanea malata di mente ed alcolista, esasperato dai suoi continui comportamenti aggressivi contro di lui. In tutti questi casi, secondo i giudici, sarebbe da applicare quanto meno l’attenuante della provocazione, circostanza che pesa maggiormente nella valutazione del fatto e quindi da valutare prevalente rispetto alle aggravanti contestate. Un simile giudizio di bilanciamento risulta però vietato dall’art. 577 cod.pen. modificato come detto sopra. Questo divieto sembra ai giudici di merito in contrasto con la Costituzione.

3.         La Corte costituzionale, con la sentenza n.197 del 30 ottobre 2023, ha ritenuto fondata l’eccezione perché impedisce al giudice di calibrare la pena al disvalore effettivo del fatto compiuto, “precludendogli di considerare prevalenti tanto la provocazione quanto le attenuanti generiche rispetto all’aggravante dell’avere commesso il fatto in un contesto familiare o parafamiliare”.

            Osserva la Corte che ogni omicidio lede una vita umana in maniera definitiva, ma che non tutti gli omicidi sono uguali come gravità. Da questo punto di vista, tra gli omicidi dolosi appaiono diversi quelli premeditati da quelli commessi in un momento d’ira; come appaiono diversi gli omicidi commessi nell’ambito della criminalità organizzata o in occasione di una lite scoppiata all’improvviso. Sono appunto le circostanze che permettono al giudice di adeguare la misura della pena alla concreta gravità del singolo fatto di omicidio, nel rispetto dei principi costituzionali di proporzionalità e individualizzazione della pena.

4.         In concreto, in presenza di attenuanti ritenute equivalenti o prevalenti sulle aggravanti contestate, il giudice avrebbe la possibilità di infliggere in luogo dell’ergastolo la pena di ventuno anni di reclusione o di quattordici anni o anche meno secondo il numero delle attenuanti concesse.

            La disposizione oggetto dell’eccezione di incostituzionalità determina dunque una “drastica limitazione del potere del giudice di calibrare la pena al disvalore effettivo del fatto”, e la Corte ne ha dunque dichiarato la illegittimità costituzionale.

5.         Il successivo 12 novembre il signor Gino Cecchettin, residente in provincia di Padova, allarmato per la scomparsa della figlia ventiduenne Giulia, ne informava i Carabinieri, sottolineando che la ragazza era in compagnia del fidanzato Filippo Turetta, suo coetaneo e contrario alla rottura del fidanzamento. Sabato 18 novembre il cadavere della ragazza, orribilmente straziato, veniva rinvenuto presso il lago di Barcis, in provincia di Pordenone. Il giorno successivo il Turetta, in fuga, veniva arrestato in Germania da quella Polizia. La vicenda destava in Italia una profonda emozione e una ferma generale richiesta di massima severità per questo tipo di reati.

6.         Il 27 ottobre 2023 perveniva al Senato il d.d.l. Roccella ed altri “Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica”, già approvato in precedenza dalla Camera dove da tempo era in discussione, contrastato dall’opposizione. In un clima di vivissima preoccupazione nel Paese per il continuo succedersi di femminicidi e violenze domestiche, lo stesso giorno il Senato lo approvava all’unanimità e il d.d.l. Roccella diveniva legge dello Stato.

7.         Le misure introdotte dalla nuova legge non toccano la decisione della Corte costituzionale sopra commentata che conserva tutto il suo valore. Rafforzano invece le sanzioni del Codice rosso e ne ampliano le norme sulla prevenzione.

            È confermato l’ammonimento da parte del Questore che può eseguirlo anche d’ufficio (art. 1). Nei processi per delitti di violenza domestica e di genere è creata una corsia preferenziale anche alla richiesta e all’applicazione delle misure cautelari (artt.4 e 7).  Anche trascorsa la flagranza del reato, è consentito l’arresto sulla base di documentazione video fotografica o telematica (cosiddetta “flagranza differita”, artt. 10 e 11).

            Chi elude l’ordine di protezione previsto dall’art. 342 del Codice civile ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nei procedimenti di separazione o divorzio (ad esempio, affidamento dei figli), viene punito a norma dell’art. 387 bis del codice penale (reclusione fino a tre anni o multa).

            Nei casi di violazione del divieto di avvicinamento o degli arresti domiciliari è prevista (art. 12) l’applicazione del braccialetto elettronico e la custodia in carcere nel caso di sua manomissione.

            Alla specializzazione dei magistrati del pubblico ministero e alla formazione degli operatori che a diverso titolo entrano in contatto con le donne vittime di violenza sono dedicati due articoli (art. 5 e 6). Iniziative formative specifiche saranno previste nei programmi della Scuola Superiore della Magistratura.

8.         La fantasia del legislatore in tema di repressione si è sbizzarrita, ed è sperabile che possa incidere sui fenomeni che intende contrastare.

            Tuttavia, dal punto di vista della prevenzione la legge appare carente. Le iniziative formative degli artt. 5 e 6 non sono chiare e la clausola di invarianza finanziaria contenuta nell’art. 19 ne rende problematica l’attuazione. Il ricorso a strumenti di polizia appare eccessivo, mentre la mancata menzione dei servizi sociali locali e del loro possibile contributo lascia perplessi.

            C’è da sperare che l’unanimità delle forze politiche su questi temi permanga, e contribuisca al mutamento di un costume che è alla radice della violenza domestica.

Luigi Fadiga, già giudice minorile