Un’emergenza ambientale è una situazione unica di destabilizzazione per molti bambini ogni anno e in molti luoghi del mondo. Che si tratti di alluvioni, terremoti, uragani, incendi o pandemie, nelle emergenze naturali c’è qualcosa che le accomuna tutte all’esperienza del trauma: esse hanno il «potere di ispirare impotenza e terrore» (1), di minacciare la vita e l’integrità del corpo, di ostacolare la capacità di iniziativa e di soverchiare la competenza dell’individuo. Abbiamo imparato dalla pandemia di COVID-19 cosa significhi per i bambini perdere lo spazio vasto come l’immaginazione dei luoghi della quotidianità: gli spazi del gioco, dello studio, del contatto semplice e spontaneo con le persone care; ma anche l’incertezza di quando e come poter rivedere le proprie figure significative, insieme alla paura di una minaccia incombente, soprattutto se respirata in un ambiente in cui gli adulti stessi possono trovare sconvolti gli equilibri della normalità.
Per questa esperienza a tutti così vicina che ha ispirato tanti avvertimenti sulla tutela del benessere mentale e affettivo, molte di più se ne potrebbero nominare per ogni uragano, per ogni incendio e per ogni inondazione in cui le case stesse sono andate perdute, intere zone abbandonate, innumerevoli famiglie distribuite in rifugi separati, universi di significato distrutti insieme ai luoghi, alle persone e agli oggetti che insieme definiscono lo spazio e il tempo sicuri di una vita.
L’immediato presente successivo a eventi di tale entità è dunque strettamente segnato dal trauma, perché, come scrive Judith Lewis Herman in Guarire dal trauma:
il trauma psichico è il dolore degli impotenti. Nel momento del trauma, la vittima è resa inerme da una forza soverchiante […]. Gli eventi traumatici sconvolgono i normali sistemi di tutela che danno all’essere umano un senso di controllo, di relazione e di significato. […] Gli eventi traumatici sono straordinari, non perché capitino raramente, ma perché sopraffanno le normali capacità umane di adattamento alla vita. (2)
Spesso la sintomatologia degli adulti superstiti permette di individuare un disturbo da stress post-traumatico (PTSD), congiuntamente a un ampio spettro di sintomi, come depressione, ansia, disturbi somatoformi, abuso di alcol o droga, pensieri suicidi o tentativi di suicidio, comportamenti aggressivi e violenti (soprattutto all’interno della sfera domestica). Nei bambini la gravità di alcuni sintomi associati al PTSD è persino maggiore rispetto agli adulti, soprattutto a causa della loro dipendenza dai caregivers e della loro vulnerabilità a elevati livelli di stress e a traumi emotivi causati da cambiamenti improvvisi nella vita quotidiana e nei legami sociali che violano il senso della propria sicurezza, in modo tanto più spiccato quanto più compromesso è l’equilibrio psichico degli adulti e quindi la loro capacità di prendersi cura dei più piccoli.
Passati i momenti più critici dell’emergenza, il ritorno a una situazione di relativa sicurezza fisica vede la tendenza a scomparire dei sintomi più acuti, ma molto dipende dalla tipologia, dalla subitaneità e dall’entità della catastrofe, dall’età dei bambini, dal loro livello di sviluppo, dalle loro capacità intellettive, dal loro stato di salute psico-fisica, dalle loro personalità e dal sostegno e supporto offerti dai sistemi familiari e sociali di riferimento nell’elaborazione dell’evento traumatico. In generale, tra i comportamenti ricorrenti che indicano nei bambini la presenza di un disagio emotivo e di un trauma psicologico acuto sono spesso osservabili: eccessivo e ansioso attaccamento a una o più figure di riferimento, paura, deficit dell’attenzione, comportamento aggressivo, disturbi somatici, irritabilità, isolamento, enuresi notturna, incubi e disturbi del sonno, crisi di pianto. Oltretutto, molte conseguenze possono non manifestarsi fino a molto tempo dopo l’evento segnante e possono persistere per lunghi periodi dopo il disastro, tra queste: depressione, ansia, disordini di regolazione, comportamenti regressivi, comportamenti autolesivi, difficoltà scolastiche e/o interpersonali.
Come riattivare, dunque, un percorso di guarigione per questi bambini che hanno perso la sicurezza e la progettualità su di sé e sul proprio mondo di riferimento? Andando a ricostruire precisamente i luoghi distrutti in cui ha avuto spazio di svilupparsi il trauma psichico: ripartendo dalle famiglie, dall’instaurazione di nuove reti di amicizia, vicinanza, aiuto reciproco e validazione dei vissuti tramite la condivisione di quanto accaduto e delle conseguenze emotive riportate, e dai bambini, organizzando sedute di gioco, attivando laboratori di espressione dei propri sentimenti, emozioni e preoccupazioni, e ristabilendo delle routine in grado di ricostruire i legami nella vita di tutti i giorni, di garantire un senso di controllo su di sé, di sicurezza, di prevedibilità dell’ambiente, e di ridurre così l’isolamento e l’esperienza dell’impotenza, dell’abbandono e della continua vulnerabilità al «pericolo imprevedibile» (3). Da questo punto di vista, il tentativo condiviso – da parte dei professionisti, dei bambini, dei ragazzi e dei genitori – di porsi in ascolto dei propri vissuti e delle proprie emozioni, di confrontarsi con ciò che è accaduto, di ricostruire e promuovere un senso di stabilità, sicurezza e speranza, rappresenta anche una misura preventiva per possibili manifestazioni successive del trauma. Come spiega Bessel Van Der Kolk nel suo saggio Il corpo accusa il colpo, esperienze traumatiche immagazzinate nella memoria in frammenti sensoriali ed emotivi disorganizzati (immagini, suoni, emozioni intense, sensazioni fisiche), quindi non integrate nel flusso corrente della vita e non organizzate secondo una narrativa logica e coerente, possono emergere settimane, mesi o persino anni più tardi rispetto ai terribili eventi accaduti. Per questo motivo, ricostruire relazioni e comunità, avere la possibilità di comunicare le proprie esperienze e di ri-accedere al proprio corpo attraverso tecniche corporee come il massaggio infantile, la respirazione guidata, lo yoga, la danza e il teatro, rappresentano – tanto per gli adulti quanto per gli adolescenti e i bambini – elementi cardine per il ripristino del benessere e della padronanza del corpo e della mente. Recuperare una narrazione integrata e “incarnata” (embodied) è l’obiettivo di un lavoro terapeutico efficace sul trauma, che aiuta a recuperare risorse di resilienza e ad avere «il potere di cambiare noi stessi e gli altri, […] aiutandoci a definire ciò che sappiamo e trovando un senso comune alle cose» (4), al fine di ripartire verso il futuro con un corpo e una mente saldamente sintonizzati tra loro e ancorati al presente che li circonda.
(1) Judith Lewis Herman, Guarire dal trauma. Affrontare le conseguenze della violenza, dall’abuso domestico al terrorismo, Roma: Magi, 2005, p. 52.
(2) Ivi, p. 51.
(3) Ivi, p. 202.
(4) Bessel Van Der Kolk, Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche, Milano: Raffaello Cortina Editore, 2015, p. 45.