Hannah Arendt

 

 

 

 

 

 

 

Regia: Margarethe von Trotta

Genere: Drammatico, biografico

Tipologia: Guerre, Genocidi, Olocausto, Diversità di genere

Interpreti: Barbara Sukova, Freiderike Becht

Origine: Francia, Germania, Lussemburgo

Anno: 2012

Trama: Filosofa, storica e scrittrice tedesca di origini ebraiche, Hannah Arendt nel 1961 va a Gerusalemme per seguire il processo a Adolf Eichmann, funzionario criminale nazista catturato in Argentina, processato e condannato a morte. La cinquantenne intellettuale vive in Usa dal 1940 con il marito Heinrich Blucher e insegna in una prestigiosa università e quando sa della cattura chiede ed ottiene dalla rivista New Yorker di poter assistere al processo come reporter. La sua sorpresa dolorosa ma che avvia in lei una profonda riflessione sul male è trovarsi di fronte non un mostro ma un mediocre uomo, un burocrate che si dichiara esecutore di ordini e basta. Dalle sue analisi nasce il libro La banalità del male che verrà in un primo momento attaccato dagli ebrei in America come dalla stessa università nella quale insegna mentre il marito e alcuni suo sostenitori approvano comprendo la grandezza dello scritto e la tragicità del contenuto.

Recensione: Responsabile della sezione IV-B-4 (competente sugli affari concernenti gli ebrei) dell’ufficio centrale per la sicurezza del Reich (RSHA), organo nato dalla fusione, voluta da Himmler, del servizio di sicurezza delle SS con la polizia di sicurezza dello stato, inclusa la polizia segreta o Gestapo. Questo era Adolf Eichmann, semplicemente un burocrate che avendo potere, come un mediocre impiegato massacrò migliaia di persone convinto di occuparsi solo di trasporto dei prigionieri. Un film intenso dal grande rigore nella costruzione che mostra una donna, la sua forza, la sua libertà di pensiero, la sua capacità di meditazione, il viaggio dentro se stessa e dentro il male e la sua banalità. Un film non retorico che non vuole mandare messaggi ma stimolare lo spettatore su quanto si possa accettare senza pensare, obbedendo per non assumersi responsabilità perché pensare è una scelta. La Arendt puntò il dito anche contro i dirigenti ebrei. E’ complicato pensare che il male è non un massimo sistema ma comune, perché così non possiamo non condannarci, puntare il dito anche verso noi stessi. Le scene di finzione si alternano con quelle originali del processo e portano chi guarda a pensare che l’Hyde che è in noi, l’It che in qualche modo ognuno si porta dentro, dovrebbe venir fuori per poterlo accettare e soprattutto neutralizzare prima che possa prendere il sopravvento, dovremmo guardarlo in faccia e trasformarlo in un severo monito quotidiano.

M. P.