fuga dalla scuola media

Regia: Todd Solondz

Genere: Drammatico

Tipologia: Il mondo dei giovani

Interpreti: Christina Brucato, Eric Mabius, Heather Matarazzo

Origine: Usa

Anno: 1996

 

 

Trama: L’undicenne Dawn Wiener (Matarazzo), secondogenita di una famiglia ebrea, frequenta una normale scuola in una cittadina qualunque del New Jersey. A volte odiata, spesso rimproverata, raramente compresa, Dawn cerca invano di avere un atteggiamento aperto ed essere allegra, mentre lotta per superare quella che sembra essere una pubertà senza fine. Dawn è bruttina, porta occhiali spessi e vestiti orrendi. I genitori le preferiscono Missy, sempre a posto nel suo vestitino rosa. Il solo amico di Dawn è il teppistello Brandon che minaccia sempre di “stuprarla”, ma che in fondo non è poi così malvagio.

Recensione: è un’opera che nel bene e nel male ritrae una parte di noi e delle nostre vite, qualcuno, onestà sua, ci si ritroverà del tutto. E’ una storia che risulta difficile a guardarsi, che trova ovunque motivi per non essere gradevole. E’ un’opera per nulla cucinata, servita così al naturale. Talmente realistica e  veritiera da fare male alla vista, da essere intollerabile per i nostri occhi, sempre più abituati ai brodini e agli omogeneizzati hollywoodiani. Nessun ammiccamento, nulla da offrire al pubblico seduto in sala o in poltrona, solo uno sguardo obbligatorio sulla realtà che ci circonda. Ci troviamo di fronte ad un quadro tristemente moderno, privo di poesia. E’ un film che fa riflettere, pone lo spettatore di fronte all’infelicità e alla crudeltà dell’adolescenza e lo fa rinunciando a scene ad effetto, senza cadere nel voluttuoso gioco del vedo e non vedo: la tensione, la rabbia, l’infelicità, sono narrate tramite una sottile indagine degli sguardi e dei silenzi, l’apatia e l’anomia sono le vere armi delle violenze della solitudine, della non-accettazione, che Dawn soffre sulla sua pelle.  Alla fine del film ciò che ci è rimasto è il dolore, quello vero. Il messaggio spietato di Solondz sembra voler sottolineare come oggi saremmo disposti a qualsiasi tipo di angheria pur di trovare qualcuno che ci apprezzi, o quantomeno ci consideri, per come siamo. E forse si potrebbe estendere il messaggio al di là delle storie individuali. Il regista, infatti, in ogni momento del film, sembra rimarcare che se Dawn è bruttina e un po’ sfigata, la realtà che la contorna è assai peggiore, non è nemmeno degna di lei e della sua delicatezza. Un film che sa graffiare senza muovere un unghia, un bel lavoro premiato al Sundance festival nel 1996 come miglior film: questo lavoro non ha aspirazioni velleitarie, il regista non sembra mai cadere nella tentazione di consegnarsi all’immortalità, né alla fama, pare umilmente concentrato sul proprio operare e sui suoi contenuti, dando dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, di come anche senza grandi mezzi economici ci si possa esprimere su alti livelli. Un lavoro, come questo, che riesce ad essere specchio del proprio tempo, serba in sé la qualità che da dignità d’Arte ad ogni opera che la comprenda.