Non sai quanto mi senta sconfitta nello scriverti questa lettera, perché significa che, a voce, non sono riuscita a dirti tutto quello che avrei voluto. Anche se non so più niente di te da molti anni, resti comunque mia figlia. E la creatura che hai messo al mondo, la mia unica nipote.
So bene che hai paura che io possa iniziare una battaglia legale, avendone tutti i mezzi; e sai bene che la vincerei: è mio diritto vedere la bambina ed anche provvedere a lei economicamente. Ma non lo farò, perché non è quello che tu vuoi. Sei andata via perché volevi dimostrarci che te la saresti cavata benissimo senza di noi, senza il nostro modo di pensare antiquato, senza le nostre regole. Volevi farcela da sola e, in qualche modo, ci sei riuscita.
Ma ora non ti capisco. A dire il vero, non ti ho mai capita. A me non importa chi sia il padre di tua figlia. L’hai fatta venire al mondo tu e questo mi basta. Anche se non ci hai mai creduto, ti ho amata moltissimo, malgrado i nostri litigi e le nostre incomprensioni. Ho sempre cercato di prendermi cura di te, nel solo modo che conoscevo e di cui sono stata capace. Perché ora non dovrei amare tua figlia? Credi che mi importi se quel giorno sei andata via senza nemmeno salutarmi? Credi che ti ami di meno per i lunghi silenzi, le telefonate interrotte, le urla che mi rivolgevi quando cercavo di spiegarti come vedevo io le cose? Non me ne importa niente. Niente conta più che sapere che stai bene. Che state bene.
Ho capito che non vuoi il mio aiuto, il mio tempo. Forse hai già fin troppe fragilità da gestire. Ma il mio denaro, almeno quello, potresti accettarlo. Non per te, se non lo vuoi, ma almeno per tua figlia. Il mio non è un gesto liberatorio, so bene che non posso sistemare con qualche banconota il male che certamente devo averti fatto. Non voglio la tua comprensione e nemmeno il tuo perdono. Non è vero. Quello lo vorrei, ma so che non posso averlo, almeno non adesso.
E allora chiamala compassione, pietà, come preferisci, ma non lasciare che il tuo dolore ci divida ancora a lungo. Ti chiedo di darmi la possibilità di aiutarti a crescere mia nipote. Nel modo che tu vuoi, fosse anche solo dandoti un piccolo aiuto ogni tanto. Mi accontento di comprarle i pannolini, o un ciuccio, una tutina per l’inverno, quello che tu ritieni sia necessario. Non togliermi questa speranza, l’ultima che mi è rimasta, visto che sto invecchiando. Ho già perso te, non posso accettare di perdere anche la tua bambina.
Non voglio fare le cose di nascosto, voglio che sia tu la prima ad accettare di darmi un posto nella vostra vita.
Qualsiasi giudice mi darebbe ragione e imporrebbe con un decreto ciò che io ti sto chiedendo con il cuore in mano. Non come una pretesa, ma come un’elemosina.
Avremmo potuto essere genitori migliori. Hai ragione. Lascia che proviamo ad essere nonni amorevoli. So che posso sembrarti egoista, ma la tua bambina è l’occasione che possiamo avere per tentare di essere i genitori che tu avresti voluto. Che avresti meritato. E anche se non ci vuoi, noi ti ameremo comunque. Vi ameremo entrambe. In silenzio, da lontano. Fino a quando non ti deciderai ad aprire quella porta che è ormai chiusa da troppo tempo.
Di te conservo una fotografia. In quell’immagine sei ancora una bambina e sei tra le mie braccia mentre ci guardiamo negli occhi. Quante cose ci siamo dette in quello scatto rubato senza dirci niente? Ti sembrerà sciocco, ma io vorrei ancora stringerti tra le mie braccia. Non per parlare, o per chiederti per l’ennesima volta perdono. Solo per guardarti. Per riportarti con lo sguardo ad un amore che non è mai cambiato.
Ti aspetto. Vi aspetto.
Tua madre
Monica Betti