Pinocchio e l’esplorazione ipotetica.

Pinocchio sembra incapace di prevedere, anche minimamente, cosa potrebbe succedere facendo una certa cosa. Sembra che per capirla debba agirla. Anni fa, realizzammo una piccola ricerca sui nascondigli dei bambini. Ci basavamo su studi e riflessioni di Bachelard, in particolare quando dice che “La casa del ricordo diventa psicologicamente complessa. Ai suoi nascondigli di solitudine si associano la camera, la stanza in cui hanno regnato gli esseri dominanti. La casa natale è una casa abitata. I valori di intimità vi si disperdono, si stabilizzano male, subiscono processi dialettici. Quanti racconti di infanzia — se i racconti di infanzia fossero sinceri in cui sentivamo che il bambino, senza camera, va a tenere il broncio nel suo angolo! […] Quale privilegiata profondità c’è nelle rèveries del bambino! Felice il bambino che ha posseduto, veramente posseduto, le sue solitudini!”[1]. Nella piccola ricerca, che riguardava bambini fra i tre e i cinque anni, capimmo che molti bambini, nonostante i controlli un po’ ossessivi, riuscivano a vivere la solitudine del loro nascondiglio. Questo li rendeva più fiduciosi. Il loro nascondiglio era sotto il lettone, dietro la porta della cucina, sotto un tavolo con tovaglia … sempre al centro della vita famigliare. Così il nascondiglio permetteva di vedere come funziona il mondo quando siamo assenti. E questo alimenta la fiducia. È come se potessimo dire a noi stessi che gli altri funzionano anche quando non ci controllano. Che sollievo!

Si può dire che, nascondendosi, sottraendosi al mondo, chi cresce ruba sé stesso al paesaggio per vederlo meglio. I bambini devono capire che il mondo non è nato con loro, e per questo dovrebbero trovare testimonianze dei saperi locali (la sapienza dell’artigiano, del formaggiaio,………………). nascondendosi, rubando sé stessi al paesaggio. Chi cresce scopre delle risorse che, immerso nel paesaggio, non poteva vedere. Il gioco è un prendere le distanze e in questo modo vedere, accorgersi.

Il tatônnement è un ragionare per frammenti, che dovrebbe essere il modo più sensato della condizione umana, di chi vive un frammento di tempo rispetto al tempo del mondo. Ma il tempo del mondo non è indifferente al singolo vivente, che si spinge, con la mente, oltre il suo tempo, nel passato come nel futuro. Nei confronti delle persone con disabilità, il ragionare per frammenti significa non cadere nell’errore di credere che, avendo incontrato un soggetto cieco, si può tranquillamente ritenere che il prossimo soggetto cieco sia identico. Potrà avere problemi analoghi. Ma ciascuno è un frammento di realtà, ed esige che si ragioni in relazione a quel frammento. Le categorizzazioni e le generalizzazioni sono un modo per non conoscere la realtà che si presenta per frammenti. La verità di un orizzonte non può cancellare e neppure assorbire l’originalità di un soggetto. E anche lo studioso osservatore è un soggetto: frammento di realtà che non può proclamare verità assolute.

Possiamo, certo, assumere il compito di cercare di collocare un frammento rispetto ad un orizzonte più vasto. E quindi tener ben presente il frammento di terreno in cui siamo e alzare lo sguardo per scrutare l’orizzonte. Questo è quanto si può trovare in C. Taylor e S. White[2] .

Il termine tatônnement è stato utilizzato dall’economista Léon Walras (1834-1910), padre della formulazione completa della teoria dell’equilibrio economico generale. Walras utilizza il termine tatônnement, traducibile con “andare a tentoni”, per indicare il processo di contrattazione che può assicurare il perfetto equilibrio tra domanda e offerta. Ma il tatônnement è stato criticato, sostenendo che in una contrattazione uno dei soggetti ha maggiori informazioni e può dirigere la transazione in termini non certo equilibrati. Freinet, introducendo il tatônnement, delinea un processo che vede il maestro in posizione di guida, con l’autorevolezza adeguata. Nello stesso tempo, il maestro non può prevedere la maniera in cui chi apprende procede, e quindi per questo procede con un vero e proprio tatônnement, senza sconti e senza trucchi.

Ha fatto storia, nel campo della riabilitazione, la vicenda di Sabadel[3]. Sabadel, disegnatore conosciuto in Francia, a 38 anni è in vacanza in Bretagna, nell’agosto 1977. Per un tuffo sbagliato, è diventato afasico ed emiplegico. Ricoverato A Parigi, dopo un tentativo di rieducazione “normale” secondo le regole canoniche, viene incoraggiato a disegnare con la mano sinistra. E a leggere i giornali, ad ascoltare la radio, per poter commentare i suoi disegni. Invece di rieducare la parola, viene incoraggiato a disegnare. Vi è uno scarto fra espressione orale ed espressione grafica, che è maggiormente personalizzata. I riabilitatori scelgono e prediligono quest’ultima.

L’interesse di questa vicenda è nel fatto che, invece di seguire una strada riabilitativa costruita a priori secondo presupposti scientifici generali, viene scelta una pista personalizzata, privilegiando gli strumenti mediatori inscritti nella storia di Sabadel. E questa strada ha notevole successo. Sabadel piano piano comincia a sapersi rappresentare ed a saper rappresentare la realtà. Realizza un testo con didascalie che commentano una storia disegnata di un uomo che non sa più parlare. I disegni sono molto belli, e l’autore si rappresenta nella sua vicenda ospedaliera, con un disegno di figura umana priva di alcune parti: una testa parzialmente assente, l’assenza di una gamba, un braccio enorme e faticoso da muovere …. Vi sono gli aiuti delle infermiere, dei medici. Aiuti necessari e nello stesso tempo umilianti (l’igiene intima sotto lo sguardo dei presenti …).

I disegni raccontano un’evoluzione: la parte vuota della testa si riempie di piccole figure, parte litigiose e parte pacifiche, parte armate e parte in abito operaio. Gli omini invadono il foglio, uscendo dalla testa. Ma la testa, lentamente, riprende la sua completezza.

Il disegno è una linea sinuosa, nitida e continua. La storia personale sembra incrociare temi civili di tanti, soprattutto la tortura nel mondo. E’ la vera e propria resurrezione di Sabadel, che ha ripreso la propria identità.

Nella vicenda di Sabadel, è importante il mediatore materiale quanto il mediatore umano. Se il riabilitatore non avesse lasciato spazio al mediatore materiale efficace, non vi sarebbe stata questa storia.

Il che significa avere dei buoni indicatori di futuro. Che Pinocchio non sembra abbia. Lo sviluppo dell’identità nell’appartenenza ha bisogno di avere dei punti di riferimento, nello stesso tempo vitali e simbolici. Vitali: ovvero capaci di flessibilità, di estensione variabile e aperta, di continue integrazioni che non annullano né cancellano gli elementi precedentemente acquisiti. Simbolici: ovvero con una strutturazione non fugace e non facilmente deperibile. Dobbiamo ricordare – ed eventualmente riprendere ed approfondire – che i processi di disumanizzazione dei campi di sterminio nazisti puntavano alla riduzione delle capacità vitale, e nello stesso tempo impedivano rigidamente e ferocemente qualsiasi espressione delle strutture simboliche di appartenenza.

È l’Esplorazione ipotetica. Vuol dire mettere le mani in pasta, con l’accettazione del presente limitato. Con l’esercizio, accade che la mano proceda e la mente preceda. Questo significa che la mente si allena nell’esplorazione ipotetica (cfr. M. A. Reda, 1986[4]. A. Semerari, 1992)[5]. Significa anche che un insuccesso, come un successo, non va considerato come totale, definito per sempre: è relativo al presente limitato. Che può rivelarsi più rispettoso del mondo nel suo insieme confronto ai risultati di chi vuol pensare a progetti totali e universali, con successi, e insuccessi, totali e universali. Nelson Mandela diceva che se vinco sono felice, e se perdo imparo qualcosa. Riusciamo a trasmettere questo a chi sta crescendo? Pinocchio ne avrebbe avuto bisogno.

Andrea Canevaro, pedagogista, professore emerito dell’Università di Bologna


[1] Cfr. Bachelard G.(1975; 1957), La poetica dello spazio, Bari, Dedalo libri. Capitolo primo: La casa. Dalla cantina alla soffitta Il significato della capanna)

[2] Cfr. Taylor C., White S. (2005; 2000), Ragionare i casi. La pratica della riflessività nei servizi sociali e sanitari, Trento, Erickson.

[3] Cfr. Sabadel (1980), L’homme qui ne savait plus parler, Millau, Nouvelle Édition Baudinière.

[4] Reda M. A. (1986), Sistemi cognitivi complessi e psicoterapia, Roma, NIS.

[5] Semerari A. (1992), I processi cognitivi nella relazione terapeutica, Roma, NIS.