In un mondo che invita all’individualismo ed alla riuscita personale, richiedendo azioni e competenze sempre più performanti ogni piccolo fallimento può rappresentare una ferita narcisistica inconsolabile.
Ecco perché diventa fondamentale che gli adulti si interroghino sulla funzione della scuola nel valutare un ragazzo o una ragazza, dal momento che il voto, il giudizio assumono un valore maggiore di quanto non si tenda a riconoscere.
La scuola rappresenta l’esperienza privilegiata nel definire e condizionare la rappresentazione di sé di ogni adolescente: è il luogo in cui è possibile acquisire un rispecchiamento della propria identità, che permetta di misurarsi con i coetanei, con gli insegnanti, con gli apprendimenti e con il relativo vissuto di accettazione e di adeguatezza.
Sperimentare un successo attraverso una verifica ben fatta, così come un buon risultato a livello sportivo o un riconoscimento in ambito relazionale rafforza l’autostima, procura un senso di autoefficacia, contribuisce allo sviluppo di un’identità positiva; viceversa, un fallimento in tali ambiti è fonte di ansia, disagio psicologico, sconforto e può generare un circolo vizioso fatto di negatività, auto svalutazione, rinuncia, fino al ritiro sociale e scolastico.
Ad incidere nelle scelte di studio e professionali contribuiscono, oltre alle condizioni familiari, le aspettative sociali, che sono fonte di ansia rispetto ad un futuro che si delinea incerto su molti fronti della vita.
Sono molti i fattori, personali, familiari, sociali, che richiedono di essere integrati nello sviluppo di ogni specifica individualità e dipendono parecchio oltre che dalla riuscita o dal fallimento scolastico, dalla vita sociale nel gruppo dei pari, che in età adolescenziale è il riferimento primario nel quale i ragazzi e le ragazze si confrontano.
Serve comunque interrogarsi sull’effettiva attenzione che il mondo adulto dedica ai giovani in fase evolutiva, poiché sappiamo dalla psicologia quali siano gli elementi prioritari nella costruzione dell’identità.
La disponibilità emotiva delle figure di attaccamento e accudimento è il fattore che maggiormente promuove una sana crescita nelle prime fasi di vita, favorendo l’acquisizione delle funzioni che permettono un equilibrio emotivo di base, così come le forme di incoraggiamento forniscono sicurezza e senso di auto efficacia.
Viceversa, laddove manchi la disponibilità emotiva si creano condizioni di chiusura, che possono condurre a difficoltà affettive e a disturbi evolutivi.
Dunque, in che cosa siamo mancanti?
Qualità affettive superficiali, capacità comunicative contraddittorie, ritmi e tempi inadatti all’accoglienza ed allo sviluppo armonico di sé?
Forse la risposta riguarda un po’ tutte le sfere della relazione, ma soprattutto riguarda la capacità di mettersi in ascolto.
Ascoltare richiede pazienza, tempo, disponibilità e sospensione del giudizio, mentre il mondo adulto nel quale gli adolescenti si confrontano è frettoloso, superficiale, ansioso e forse anche proiettato su un futuro ideale che non sa tener conto del presente, che richiede un’accettazione di fondo, nella consapevolezza della fluidità dei pensieri e dei comportamenti in fase di sviluppo, che possono migliorare attraverso l’incoraggiamento, il rispetto, una comunicazione autentica.
Dobbiamo convenire con Matteo Lancini che la crisi degli adolescenti è data da un blocco nella realizzazione dei compiti evolutivi e che il disagio dell’adolescenza oggi è indice di una fragilità del mondo adulto.
Una società che propone modelli di successo per individui altamente performanti, svalutando ogni forma di difficoltà che non permetta di ambire all’eccellenza è una società ansiogena e patogena.
La fragilità genitoriale, per esempio, si manifesta attraverso richieste che vanno ad appagare i propri bisogni e desideri narcisistici spesso senza tener conto delle reali attitudini di figli/e: ciò crea pressioni sui figli e sulle figlie generando aspirazioni di riuscita sociale che possono non coincidere con il temperamento e/o con le attitudini di un/a ragazzo/a.
Ciò che sembra mancare è la capacità di dialogare, comunicare e soprattutto di ascoltare i/le nostri/e adolescenti.
Visto il diffuso fenomeno delle separazioni, sarebbe opportuno accompagnare le coppie in fase di separazione a comprendere quali possano essere le modalità meno disagevoli per permettere ai figli una crescita serena, evitando di trasformare un periodo difficile per la coppia anche in una fase traumatica per i figli.
Non si tratta ovviamente di evitare la separazione, bensì di facilitarne il processo, senza che esso ricada in modo negativo sui figli.
Un alto livello di ansia vede spesso minacciare soprattutto le famiglie monogenitoriali, dove il padre solo o la madre sola si ritrova a dover svolgere entrambe le funzioni, materna e paterna, in solitudine e in mancanza di sostegni e confronti positivi.
Sarebbe sufficiente ancora una volta mettersi in ascolto, accogliendo le fragilità, le incertezze dei figli come elementi propri di un processo di crescita, senza focalizzarsi sul proprio senso di inadeguatezza o difficoltà, dove a fare da protagonisti sono ancora i bisogni degli adulti.
Mettersi in ascolto significa iniziare dalla pre-adolescenza a svolgere un’operazione relazionale che preveda un graduale passaggio da un atteggiamento normativo ad uno più dialettico, che crei uno scambio comunicativo fatto di rispetto reciproco, di accompagnamento e di incoraggiamento.
Impossibile che un adulto che nell’infanzia abbia concesso e permesso tutto, rasentando la trascuratezza educativa, quando si affaccia l’adolescenza acquisisca agli occhi del figlio l’autorevolezza necessaria a richiamarlo alle regole.
Quella delle regole pare essere una funzione difficile da equilibrare: a genitori eccessivamente organizzati sull’aspetto normativo e autonimizzante fin dai primi anni di vita si interfacciano genitori in grande difficoltà nell’introdurre una normatività che favorisca l’acquisizione e l’interiorizzazione di uno stile di vita organizzato e autonomo.
Andrebbe seriamente presa in considerazione quella che Massimo Recalcati definisce “assenza del padre”, intesa come assenza di una normatività etica, che dovrebbe fornire una dimensione morale tale da aiutare i figli sia ad orientarsi sia a responsabilizzarsi in un mondo che si presenta sempre più complesso.
Le competenze digitali con le quali gli attuali adolescenti sono nati, mentre infondono un senso di illusoria onnipotenza, fin dall’età prepuberale, impongono, crescendo, di fare i conti con l’impotenza che sembra costellare la vita emotiva di molti di loro e che scandisce le fasi di presa d’atto della realtà effettiva.
L’adolescenza oggi rappresenta anche quell’epoca di vita in cui si sperimentano i limiti definiti da una realtà sociale, economica e ambientale carica di interrogativi e di incertezze: una realtà che con le sue sfide pare contrapporsi in modo brutale al senso infantile di onnipotenza che l’adolescente va via via abbandonando.
(Continua…)
Rosa Gherardini, pedagogista e psicologa psicoterapeuta. Integra il colloquio clinico con terapie corporee quali la Bioenergetica ed il Training Autogeno. È practitioner EMDR.