Regia: Lenny Abrahamson
Genere: Drammatico
Tipologia: Disagio minorile, Violenza su minori
Interpreti: Brie Larson, Jacob Tremblay, Megan Park, William H. Macy, Joan Allen
Origine: Irlanda
Anno: 2015
Trama: Rapita da ragazzina da un uomo Old Nick che la tiene rinchiusa in una stanza di 3 metri per 3 ormai da sette anni abusando di lei, una giovane donna Joy resta incinta; da quel momento suo figlio Jack sarà la sua vita e la sua fonte di sopravvivenza. Joy che il bambino chiamerà “Mà”, fa di tutto per rendere quella stanza lo spazio adatto al bambino, per proteggerlo lo convince che quello e solo quello è il mondo, ogni giorno il piccolo saluta gli oggetti, guarda la Tv, l’unico obbligo categorico è rinchiudersi nell’ armadio quando sente la porta blindata aprirsi. Resta solo una finestra in alto nel soffitto a dare un’idea di spazio. Ma al compimento dei suoi 5 anni, Jack inizia a fare domande, ad essere curioso, non si accontenta più di quanto gli racconta la mamma. Così Joy decide di svelargli la verità sul fuori, su cosa c’è oltre quella porta blindata. Il bambino però non le crede. Joy architetta un piano per fare in modo che Jack possa uscire, possa salvarsi. Ma fallisce. Non si arrende. Insegna a Jack come fingersi morto così l’uomo porterà via il corpo in un tappeto per abbandonarlo da qualche parte. Dà istruzioni precise al figlio: come reagire e cosa fare quando il furgone rallenterà, dovrà approfittarne scappare e chiedere aiuto. Così Jack riesce a salvare la madre che ritrova anche i suoi genitori nel frattempo separatisi. Ma non è la fine perché mentre per Jack è tutto nuovo, fa fatica ad abituarsi ma il mondo gli piace, è giovane e ha forza per recuperare, Joy si rinchiude in se stessa, travolta dai media che le chiedono di raccontare la sua storia con domande morbose ed infamanti, travolta dal non avere più un ruolo, quel ruolo che aveva avuto nella Stanza. Tenta il suicidio e sarà suo figlio a salvarla. Si ritroveranno di nuovo nella Stanza per un ultimo sguardo, un ultimo saluto agli oggetti, per tornare a vivere stavolta senza più paure. Tratto dal romanzo di Emma Donoghue, Stanza, letto, armadio specchio
Recensione: “Jump, run, somebody”, sono le parole che Joy ripete al figlio perché riesca a salvarsi; come una filastrocca, una nenia alla quale affida la sua speranza. Perché la donna si rende conto che la Stanza sta diventando stretta per suo figlio per la sua curiosità, ma anche perché il suo rapitore si fa sempre più pericoloso e, come un capobranco, potrebbe poi fare del male al bambino. Ma la libertà non è la fine dell’incubo anzi, è l’inizio, solo l’inizio di un altro profondo sconvolgimento. Jack riesce a salvarla portando la polizia nel luogo di segregazione. Fuori nel mondo esterno i due, nonostante tutto lo spazio che desiderano, vivono uniti stretti l’uno all’ altra, parlano a bassa voce e devono riabituarsi alla gente al tono che usa, ai rumori, alla velocità, alla luce che fa male, alla famiglia che nel frattempo ha vissuto dei cambiamenti. La mamma di Joy ha un nuovo compagno mentre il padre, nonostante gli sforzi, non riesce dapprincipio a rapportarsi al bambino, nemmeno a guardarlo negli occhi. Ma Jack è giovane, è la vita che non vuole ostacoli alla sua esplosione; basta il cielo, un cagnolino a dargli forza, ad affascinarlo, ad invitarlo ad esplorare un mondo che per lui sarà tutta una scoperta. Per Joy è invece un regredire all’ età del suo rapimento, è sentirsi disadattata senza ruolo, non riesce a difendersi, travolta dall’ ansia e dalla depressione. Guarda come estranea al mondo, si ritrova in una routine che non riconosce, rischia di essere fatta a pezzi dalle Tv che si contendono la sua storia. Se la Stanza aveva un’anima così come tutti gli oggetti, fuori è più complicato cercare l’anima. La donna crolla perché le pareti della prigione che era diventata per certi versi il suo regno, sono crollate e lei non sa cosa fare. Così i ruoli si invertono. Jack sta crescendo ed è lui che salva la mamma dal tentativo di suicidio. Lui che chiede alla nonna di tagliargli i capelli, lui infine che chiede alla mamma di tornare nella Stanza e dire addio agli oggetti e al passato. Room è un film sullo spazio, sul luogo esteriore e su quello interiore. Sull’ amore che unisce una madre al proprio figlio ma anche sui drammi diversi che vivono i due, pur stretti da un legame che travalica spazi e luoghi. E’ la storia di una donna vittima di abusi fisici e psicologici che fa fatica a recuperare se stessa e sopravvive per il figlio. E’ la storia di una separazione quello della mamma dal figlio che deve e prende le distanze da lei perché in qualche modo Jack era una versione più giovane di se stessa tant’ è vero che Joy è riluttante a lasciar andare il figlio, a tal punto che, intervistata, continua a ripetere che Old Nick non è il padre del bambino: “Lui non è di nessuno lui è mio”. E’ la storia di un bambino che pur vivendo i primi anni della sua esistenza in un non luogo ha come tutti i minori una capacità sorprendente di recupero, di miglioramento, la volontà di esistere, di avere una sua identità. Un film splendido realizzato con un budget basso che racconta una storia orribile scegliendo come punto di vista quello di un bambino di 5 anni. Lo spettatore è preso fin dalle prime scene e cammina con loro nella Stanza. Comprende ciò che accade anche dalle luci, dai colori simili nei due spazi (dentro e fuori). Tornare alla vita è un processo lento e doloroso. Non è difficile pensare ai bambini abusati, a quelli rapiti, ai bambini in carcere alle problematiche fisiche e psicologiche che compromettono il loro sviluppo, alle deprivazioni relazionali e sensoriali che subiscono. Il film che gioca su un grande equilibrio tra compassione e intelligenza, si ispira al caso di Josef Fritzl un austriaco arrestato nel 2008 per aver imprigionato la figlia Elisabeth in un bunker costruito nel seminterrato di casa ed abusato di lei per ben 24 anni con la complicità della moglie. Dalle violenze nacquero sette figli. La ragazza venne liberata nel 2002.
M. P.