Regia: LazloNemes
Genere: Drammatico
Tipologia: Olocausto, Accoglienza e Discriminazione
Interpreti: GézaRohrig, Levente Molnar, UrsRechn, Todd Charmont, SandorZsoter
Origine: Ungheria
Anno: 2015
Trama: 1944: 36 ore della vita di Saul Ausländer un ebreo ungherese deportato ad Auschwitz-Birkenau. Reclutato nella squadra deisonderkommandos, unità speciali che possono vivere senza rasarsi la testa e nutrirsi meglio degli altri ebrei, perché assoldati per rimuovere i corpi dalle camere a gas, caricare gli “Stűcke”, i “pezzi” e poi cremarli disperdendone la cenere. Ingranaggi di un progetto di morte e loro stessi destinati ad essere eliminati dopo 4 mesi perché testimoni chiave dell’orrore. Disumanizzati, lavano il sangue, svuotano le tasche, preparano altri, sono come automi nella macchina perfetta della Metropolis nazista, perché Auschwitz è una fabbrica ed ha i ritmi di una fabbrica dove si lavora anche quando si spala la cenere, ciò che resta di uomini, donne e bambini, per gettarla nel fiume e si respira quella cenere incuranti, per abitudine. Decisi a sopravvivere il gruppo di Saul si prepara alla rivolta prima che una nuova lista di sonderkommandos venga stilata, condannando loro a morte. Un giorno, Saul riconosce tra i corpi delle persone uccise in una camera a gas, quello di un ragazzino nel quale crede di riconoscere il proprio figlio. Il ragazzino ancora vivo, verrà soffocato dal medico, ma da quel momento Saul avrà come unico scopo la salvaguardia del suo corpo a cui vorrà dare una degna sepoltura con un rabbino che reciti il Kaddish. La sua umanità ritorna fuori tra fuoco, ordini, urla, buio, spari delle esecuzioni sommarie: la vita del campo di concentramento è la metafora della follia umana. Saulbersaglio per il fucile delle SS visto che sulla giacca che indossa è verniciata una ics rossa che lo rende immediatamente distinguibile ma proprio per questo anche difeso, va alla ricerca di un rabbino, mentre si avvicina la rivolta.Sarà la sua ultima azione ma quella che gli offrirà una via d’uscita al buio morale, all’annientamento di ogni speranza. Voltando le spalle ai suoi compagni e al tentativo di rivolta, Saul farà la sua rivoluzione, riconoscendo ancora nel sorriso di un altro bambino quello di suo figlio, quello della vita che non si arrende.
Recensione: Il figlio di Saul è l’opera di esordio del regista Nemes, che ha avuto parte della famiglia assassinata e si è basato soprattutto sulle testimonianze di veri membri dei Sonderkommandosla cui creazione, come scrive Primo Levi, fu il gesto più demoniaco concepito dal nazionalsocialismo. La pellicola ricostruisce la loro vita e anche la rivolta del gruppo che scoppiò realmente nel 1944 repressa poi nel sangue dai nazisti. Restano oggi le testimonianze di alcuni dei componenti dei Sonderkommandos, diari manoscritti ritrovati dopo la fine del conflitto perché seppelliti da loro stessi e anche rarissime foto che riuscirono a realizzare grazie alla collaborazione della Resistenza polacca. Il film è destabilizzante e allo stesso tempo potente, non sulla Shoah ma nella Shoah. I colori dal rosso al color sabbia; la colonna sonora che nasce dai pianti, dalle urla, dagli spari, i dialoghi sono sussurrati, tutto evoca in noi i gironi infernali del nostro immaginario. Perché se l’inferno c’è non può essere diverso da questo, nel raccontodell’inenarrabile, che lasciatecnicamente in secondo piano, volutamente sfocata, la ‘pornografia’del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. La macchina da presa è dentro, è dentro lo sterminio, scende nei meandri labirintici claustrofobici, sudici, che puzzano di carne bruciata, di paura, di morte. Il punto di vista è quello dei sommersi, dei “miserabili manovali della strage”,è interno non esterno, non distante; lo spettatore diventa lui stesso vittima e aguzzino, non guarda ma è quasi a un passo dai carrelli su cui vengono addossati i cadaveri di coloro che sono stati gassati e che vengono infilati dentro ai forni crematori. La macchina da presa di Nemes catapulta tutti nell’inferno dantesco e guarda con gli occhi del protagonista inizialmente imperturbabile, assuefatto alle urla di aiuto, privo di emozioni di pensieri persino quando i condannati, spinti nella camera a gas urlano, battono contro la porta chiusa per uscirne. Lo spettatore insegue il primo piano di Saul come se gli stesse di fronte, accanto; tutto ruota intorno a lui vittima e carnefice, carnefice perché parte di uno di quei gruppi destinati a pulire, a spalare la cenere, quello che resta di uomini donne bambini, di respirarla, di far entrare nel mai accaduto l’orrore; vittima perché parte di uno di quei gruppi destinati comunque a sparire, ad essere uccisi perché non possano mai raccontare. Ma noi stessi ci sentiamo vittime e carnefici. Ci sentiamo nostro malgrado dentro la fabbrica di morte che ha ritmi veloci, industriali, ci sentiamo parte di quegli uomini apatici indifferenti pur di vivere un mese in più degli altri, ci sentiamo colpevoli tutti. Nemes guarda a quella routine allucinante, la pianificazione, le regole, i turni. Poi tutto si inceppa quando i nostri occhi attraverso quelli di Saul vedono il corpo del bambino. Ciò che l’uomo non è riuscito a difendere prima l’infanzia, il diritto alla vita, cerca ostinatamente, ossessivamente di difenderloadesso, proteggendo la sacralità della morte. E’ la sua sola speranza di salvezza, il suo ritorno all’umanità:preservare l’inviolabilità del corpo del figlio o di quel ragazzo che lui forse crede, vuole credere suo figlio, è l’unico modo per salvare la vita. Difendere la giovane morte dall’annientamento dei forni crematori, dall’oblio, èl’unico modo per far sì che la memoria resti viva, perchè parafrasando Foscolo:Un dí vedrete mendico un cieco errar sotto le vostre antichissime ombre, e brancolando penetrar negli avelli, e abbracciar l’urne,e interrogarle. Morendo quel ragazzo offre l’umanità all’uomo, solo nel rito del suo funerale, nella dignità ritrovata della sua sepoltura, potremo andare oltre la vergogna e considerare “se questo è un uomo”. Il film ha vinto l’Oscar 2016 per il miglior film straniero dopo aver ottenuto il Gran Prixa Cannes e il David di Donatello ed altri prestigiosi riconoscimenti.
M. P.