Gli episodi di violenza nei confronti degli assistenti sociali e, più in generale, nei confronti dei professionisti dell’aiuto che operano nei servizi sociosanitari territoriali e nei presidi sanitari, sono sempre più frequenti e ricorrono ormai quasi quotidianamente nelle cronache. A titolo meramente esemplificativo si ricorda il recente accoltellamento, ad agosto c.a., di un assistente sociale a Bologna o l’aggressione di massa al pronto soccorso dell’ospedale di Pescara di qualche giorno fa.

Già nella ricerca svolta nel 2017 dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali (CNOAS) e dalla Fondazione Nazionale degli Assistenti Sociali (FNAS), che ha coinvolto 20.000 professionisti[1] emergevano dati allarmanti: solo l’11,8% degli assistenti sociali risultava non aver mai ricevuto minacce, intimidazioni o aggressioni verbali nel corso della propria esperienza lavorativa. Il 15,4% riportava di aver subito aggressioni fisiche. Il fenomeno era, ed è certamente sottostimato; emergeva, infatti, che solo il 23,3% delle aggressioni fisiche subite veniva segnalata alla propria organizzazione di servizio e solo il 10,6% veniva denunciata alle forze dell’ordine. Il 49% gli intervistati, inoltre, dichiarava che dopo essersi rivolto alla propria organizzazione di appartenenza a seguito di episodi di violenza verbale, l’Ente non ha dato seguito ad alcuna iniziativa di supporto nei confronti della vittima. Esperienze di timore per la propria incolumità o per quella dei propri cari a causa della propria attività professionale, è riportato dal 35.8% degli intervistati. Urla, lanci di oggetti, calci alle porte, danneggiamento di beni personali, aggressioni fisiche, minacce e intimidazioni, condotte persecutorie, necessità di organizzare modalità per allontanarsi in sicurezza dal servizio al termine dell’orario di lavoro, necessità di allontanarsi e fuggire da uscite secondarie o finestre, necessità di rifugiarsi nella propria od altrui stanza in ufficio per evitare contatti con persona minacciosa sono le esperienze più spesso riportate.

La crescente frequenza di questi eventi, da tempo rende inappropriato limitarsi a parlare di singoli episodi circostanziati riferibili a particolare caratteristiche delle persone che si rivolgono al servizio, bensì impone una riflessione più ampia sul crescendo di un clima di violenza che viaggia di pari passo con l’impoverimento materiale, organizzativo, culturale del sistema di risposte, espressione di un welfare sempre meno in grado di proteggere dall’insicurezza i cittadini e gli operatori che vi lavorano. La comunità professionale degli assistenti sociali, attraverso il CNOAS e i CROAS è intervenuta con massicce campagne di sensibilizzazione, con l’istituzione di un osservatorio sulla violenza agli operatori, con l’istituzione di una apposita sezione nell’area riservata del sito ufficiale che possa raccogliere le segnalazioni degli assistenti sociali colpiti e dove gli stessi possono trovare indicazioni su come segnalare alla propria organizzazione e alle forze dell’ordine nonché iniziative di supporto legale. Corre l’obbligo di precisare che la capacità dell’assistente sociale di gestire la relazione e il padroneggiamento delle tecniche di de-escalation è indiscussa e non rappresenta, se non occasionalmente, soprattutto nel caso di professionisti giovani, il problema. Le criticità a monte del fenomeno, seppur ben conosciute, ampiamente e dettagliatamente evidenziate, rimangono inalterate. Poca attenzione e scarsa attuazione delle misure preventive: organizzazione degli spazi e delle stanze di lavoro che garantisca vie di uscita dagli uffici al bisogno, presidio e filtri agli ingressi, previsione della possibilità di non dover ricevere o recarsi in visita domiciliare da soli. Misure che richiedono uno sforzo organizzativo ed un impegno anche in termini di costi ma che sono imprescindibili anche se da sole assolutamente insufficienti. Oltre a politiche sociali che mettano in conto necessari investimenti in termini di organici e risorse economiche, vi sono altri importanti e determinanti aspetti che molto possono incidere sul fenomeno. È necessario attuare pienamente quelle buone prassi a costo zero, che investendo dimensioni culturali faticano ad affermarsi. Il riferimento è al rapporto che intercorre nelle organizzazioni di servizio tra parte tecnica e parte politica, tra parte tecnica, parte amministrativa e dirigenza, e, conseguentemente, alla comunicazione all’esterno di quello che è il ruolo dei servizi sociali e degli assistenti sociali in ultimo anche attraverso un corretto dialogo interistituzionale[2]. Persistono impropri cortocircuiti comunicativi che generano nei cittadini aspettative a volte infondate e che i servizi sociali non possono soddisfare per mancanza di requisiti o di risorse sempre più limitate. La strada da perseguire non è arrivare ad avere servizi sociali che sentendosi sotto assedio chiedono sempre più di potersi barricare. Un servizio sociale costretto a difendersi e trincerarsi è l’antitesi con un servizio sociale impegnato a costruire fiducia e prossimità. Oltre all’attuazione di tutte le misure di cui sopra, è forse necessario ricordare in modo chiaro a chi ricopre ruoli di responsabilità – siano essi tecnici, amministrativi o politici – che porre in essere condotte che attraverso comunicazioni imprudenti e improprie possano generare un rischio per l’incolumità dei professionisti, oltre ad essere esattamente l’opposto dell’auspicato sostegno agli operatori, costituisce fatto sanzionabile per legge.   

Angela Roselli, assistente sociale specialista, giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Roma


[1] Sicora A., Rosina B., a cura di, (2019), La violenza contro gli assistenti sociali in Italia, Franco Angeli, Milano. Per una sintesi dei risultati della ricerca vedasi anche il relativo articolo su Journal of Social Work a disposizione su  https://www.fondazioneassistentisociali.com/wp-content/uploads/2021/04/journal.pdf

[2] Vedasi, ad esempio, l’increscioso episodio relativo alla sospensione del reddito di cittadinanza che ha visto a luglio 2023 L’INPS comunicare con un SMS ai 169.000 beneficiari interessati “Fine reddito di cittadinanza, si rivolga ai servizi sociali”, episodio sul quale si è espresso l’allora Presidente del CNOAS G. Gazzi come riportato nel comunicato presente su  https://oaser.it/la-sospensione-via-sms-del-reddito-di-cittadinanza-lintervista-del-presidente-cnoas/