In principio furono l’emancipazione femminile e la liberazione sessuale: poi, mentre l’albero delle identità lgbtqia+ fruttificava sempre più vario e colorato, ci si accorse che il “maschio” era in crisi, privo di modelli diversi dallo stare semplicemente adagiato sui suoi privilegi ancestrali… Essere adolescenti oggi significa arrivare dopo due secoli in cui l’autocoscienza di genere ha eroso il patriarcato fino al midollo, producendo un movimento costante di liberazione dei costumi e delle identità dalle gabbie eteronormative, a beneficio di un’ideale di sé e delle relazioni sempre più rispettoso delle differenze, paritario e non-violento. Ma il patriarcato non è affatto morto: tra un rantolo e l’altro, difende il suo scranno rovesciato di privilegio etero-cis-maschilista appellandosi al recupero dei valori tradizionali, si nutre delle naturali polarizzazioni del mondo sociale e sussurra nell’orecchio dellə giovani un paradiso perduto di ordine, onore e semplicità. In questa cornice antropologica in cui altri macro-fattori generano discontinuità nella rappresentazione del futuro, alimentando senso di insicurezza e conflitto, il cambiamento di paradigma del genere finisce per rappresentare un perfetto elemento di polarizzazione, alla luce del quale lə adolescenti che si affacciano su se stessə interpretano il loro senso di incertezza e di vulnerabilità per il mondo adulto che lə aspetta. Per alcunə, riconosciuto come conquista di giustizia sociale e presidio di umanità nel clima generale di violenza, potrà essere la rappresentazione di uno spazio ideale di inclusività e rispetto in cui sentirsi liberə e al sicuro qualunque cosa scoprano di essere. Per altrə, assimilato al generale senso di crisi e visto come principale sintomo della perdita dell’ordine sociale, sarà invece una deriva del delirio postmoderno, che lə precipita sempre più lontano dalla semplicità primigenia dell’infanzia. E se il discorso nostalgico della tradizione può suonare dolce tanto a chi è tormentatə dalla nascita di sentimenti imprevisti e nascosti, quanto al ragazzino maschio eterosessuale e cisgender che deve rinunciare a privilegi millenari, anche un nuovo mondo privo degli arcaismi eteronormativi può rappresentare una boccata di ossigeno tanto per chi nel vecchio sarebbe statə ostracizzatə perché diversə, quanto per chi nel nuovo può sottrarsi ad una costante prova di forza e di dominanza. Ovviamente molto fanno gli intimi vissuti di genere dellə singolə, ma ancora di più il contesto politico-familiare e quello del gruppo di pari, nonché il posizionamento (integrato, escluso, sovversivo, etc.) rispetto a quei contesti ideologici. Nel momento di massima espansione della funzione soggettiva di traduzione, comprensione e definizione di sé, l’orizzonte dei valori sociali rimandato dal gruppo e dalla famiglia rappresenta una lente potente di giudizio delle proprie possibilità esistenziali.

Se immaginiamo l’adolescente che si prepara al suo viaggio provandosi le diverse armature necessarie a ripararlə dai colpi esterni, possiamo pensare al genere come all’abito che sotto l’armatura dovrà proteggere la sua pelle sottile, adattandosi al meglio alla sua natura, ma anche stabilendo ciò che l’altrə potrà vedere di essa, e ciò che l’adolescente vorrà che sia visto di ləi.

È chiaro che se i ruoli di genere eterosessuali sono stati, e sono tutt’ora in qualche forma più o meno normativa, uno script relazionale capace di accogliere e supportare le proiezioni di sé dellə giovani nella costruzione della loro affettività, la scoperta di una propria incompatibilità con quel copione e la libertà di trovare le proprie narrazioni, richiede comunque un supporto. Ecco perché nuovi script continuano a prodursi (…lgbtqia+…) come proposte di nuove forme di relazione in cui sperimentarsi e cercare un rispecchiamento, soggettivizzarsi facendo propria una forma in cui sentono possibile realizzare la propria interiorità. Alla fiera delle identità, perché lo spazio sociale altro non è che quel grande suq di costumi e specchi in cui ciascuno cerca se stessə, sul bancone della sessualità per molto tempo ci sono stati solo due vestiti per tutti e tutte (e in poche taglie disponibili), mentre oggi non è più così. Se però queste nuove vesti sono finalmente disponibili per chi nelle altre non ha mai davvero potuto entrarci, allora oggi sono disponibili ad essere provati da tuttə. E l’adolescenza è il tempo delle prove. Anche solo dieci anni fa, in un contesto in cui l’eteronormatività era tale che se una varianza emergeva era perché davvero non poteva restare nascosta, dovevamo considerare come un chiaro segno di omotransfobia quando qualcuno diceva: “è una fase, forse gli (o le) passerà…”, perché in realtà quella affermazione era un modo di dire “niente panico, se passa potremo dimenticare tutto questo… e faremo in modo che passi per forza…”. Una frase che nascondeva una volontà di non vedere, di invalidare, di reprimere. In certe circostanze è ancora così, certo, ma credo che, se da un lato il contesto è cambiato, la reale differenza stia nella nostra capacità di validare ogni possibilità, e abbracciare onestamente la ricerca dell’adolescente e le sue domande su se stessə. L’esplorazione delle identità non eteronormative non è un problema. L’adolescente che sceglie di vestirsi e truccarsi come più si riconosce, e chiede un pronome e un nome che non corrispondono a quello pensato dai genitori, non sta solo esplorando attivamente il suo genere, ma anche e soprattutto la sua capacità di criticare un mondo chiuso, assumendosi la responsabilità di aggiustarlo con la sua stessa presenza, con la sua storia e con la sua relazionalità. L’etichetta con cui definisce la sua identità può riflettere una comprensione chiara in sé, o l’inizio di un più lungo percorso di esplorazione, comprensione e affermazione di genere. Oppure può essere solo un vestito largo capace di nascondere forme che non si è prontə ad esporre all’altrə: forme che non necessariamente hanno a che vedere con l’identità nucleare di genere. Magari in un mondo in cui mi sembra che nessun vestito mi stia bene, un’etichetta non-binaria dice al mondo che non sono tenutə a star bene con i vestiti che mi propone. E naturalmente questa eventualità ci spaventa: e se poi sbagliasse? E se non sapesse cosa fa? E se se ne pentisse? La grande paura eteronormativa è, ovviamente, che il o la giovane eterosessuale e cisgender, nell’affacciarsi alla sua confusione adolescenziale, si perda nel suq della confusione di genere… ancora più se l’adolescente in questione è fragile, feritə e destrutturatə per le ragioni più varie. Ovviamente l’idea che per un individuo etero-cis sia una tragedia viversi “per errore” serenamente gay o trans è un chiaro segno di eteronormatività. Ma anche ammettendo che il problema sia una supposta chiarezza rispetto ai propri vissuti, la risposta non può certo essere di eliminare l’esplorazione, controllare e reprimere il cambiamento per riportare la società ad un ordine prestabilito in cui ognuno sappia già chi è e cosa può essere perché è scritto nella sua nascita. La soluzione non può essere eliminare l’adolescenza. Ma l’ansia è grande di fronte ad unə figliə che non sa chi è, e non si contano i genitori che di fronte all’esplorazione di genere dellə figliə rispondono puntando il dito a tutte le sue inadeguatezze, dalla sua inaffidabilità con i lavori di casa alla sua incapacità di compiere scelte mature, dalla sua timidezza relazionale ai suoi agiti di ribellione… come a dire: “possiamo accettare questa tua identità solo se è frutto di una maturità competente, ma questa scelta è l’ennesima prova che non sei ancora in grado di sapere cosa sei…” un doppio vincolo classico. Invece, la nostra responsabilità è non lasciar solə lə adolescenti: passo dopo passo esserci, accogliere, fare domande, trasformare la paura di sbagliare in curiosità genuina. Ma solo se saremo interlocutori capaci di riconoscere la competenza dell’adolescente su di sé questi ce lo permetterà. In ogni caso, dobbiamo riconoscere il suo coraggio nel soggettivarsi, nell’emanciparsi di fronte all’arena sociale, quando si alza in piedi nel cerchio dellə adultə e reclama il suo nome. Se sarà validatə allora saprà che la sua identità può essere guardata qualunque essa sia. E potrà guardarla ləi stessə con più serenità, continuando ad ascoltarsi con maggiore competenza per decidere i passi successivi da compiere: che si tratti di un’ulteriore esplorazione con il cambiamento del corpo, di fermarsi là dove si è arrivati o di autorizzarsi un’identità più tradizionale.

Federico Ferrari, psicologo psicoterapeuta, terapeuta di coppia e familiare