Non so se abbiate mai visto un velo attraversato da una pallottola. Lascia dietro di sé un foro sottile dai margini accartocciati, come se ad averlo attraversato fosse stato un tizzone ardente. Chissà quante volte si sarà piegato su se stesso, quel velo, mentre scivolava dal capo per andare sempre più giù, gonfiandosi di aria e di paura, fino ad adagiarsi piano sul lastrico della piazza di Teheran.

È solo un velo, un velo qualunque. Con un piccolo, minuscolo foro. Solo che ora giace accanto ad un volto insanguinato. Quello stesso proiettile e, dopo di lui, altri dieci, hanno attraversato il corpo di una giovane donna. Una giovane donna morta nella piazza di Teheran.

Solo qualche istante prima avremmo potuto vedere quel velo accarezzare i capelli di una giovane che non aveva niente di diverso da qualsiasi altra ragazza: non era più giovane o più vecchia, non più bella o più brutta, più grassa o più magra, più bionda o più mora di qualunque altra avremmo potuto incontrare in quella piazza alle dieci di una qualsiasi altra mattina. Ma lei è morta.

Ciò che di lei resta è un velo. Un velo prima gonfio ed imponente ed ora ridotto ad uno straccetto raggomitolato per terra. Con un foro. Un piccolo, minuscolo foro con le pareti accartocciate.

Un’altra ragazza lo raccoglie e lo stringe in una mano. Un ultimo, disperato gesto, prima di scappare e mischiarsi in mezzo alla folla. Raccogliere un qualsiasi oggetto appartenuto ad una ribelle equivale a dichiararsi ribelli. Ed un ribelle che si oppone al sistema può essere eliminato. Non importa se si è giovani uomini o giovani donne. Esistono piazze in cui manifestare il proprio pensiero autorizza quelli con la pistola a sparare. E ad uccidere.

La piazza di Teheran, la Plaza de Mayo, la Piazza dei Martiri. Ogni piazza ha le sue lacrime. Ogni piazza ha la sua storia. Lo sa bene la ragazza che ha sottratto il velo alla compagna morta, mentre lo tiene stretto a sé e cerca un vicolo nascosto, uno straccio di ombra in quella giornata maledettamente assolata, per poter scomparire per sempre. Un giorno verranno a prendere anche lei. Un giorno anche il suo velo giacerà a terra, come un involucro vuoto. La sua colpa? Una qualunque. Oramai il suo mondo è pieno di crimini: una canzone di protesta, tagliarsi i capelli, scoprire il volto. Dire sì. Dire no.

Un giorno morirà anche lei. Ma non oggi. Nasconde il velo sotto il suo vestito. Può sentire ancora l’odore della polvere da sparo. Trattiene un brivido. Molti non credono che sia proprio questo il destino delle donne che non accettano il regime. È la paura. La paura impedisce di vedere le cose per come sono realmente. Se potesse vederla sua madre. Ma non può vederla. Ha dovuto rinnegare la sua famiglia già da tempo. Anche le famiglie dei ribelli vengono stanate. E, in molti casi, spiate e torturate per avere informazioni su dove si nascondano i nemici del regime. E’ meglio dimenticarsi di avere una famiglia. Verrà un giorno in cui non sarà più un reato pensare ciò che si vuole. Desiderare il meglio per se stessi. Anche se sei una donna. Ma non oggi. Non è tempo di morire, ma nemmeno di vivere con dignità.

Adesso deve trovare solo il coraggio di attraversare di nuovo la piazza. Qualsiasi altro vicolo sarebbe sospetto. La sommossa rende chiunque più sospettoso. E bisogna diffidare di tutti. Pur di non avere i militari alle calcagna ci sono persone che sarebbero disposte a fare qualsiasi nome. Anche quello della propria madre. Tutto sommato è meglio percorrere le strade più affollate, sperando di potersi confondere in mezzo alla gente. Sperando di non incrociare nessuno sguardo pauroso che possa riconoscerti. Allora sarebbe la fine. Ma non ci sono alternative.

Quel velo. Quel velo pulsa sulla sua pelle come se bruciasse. E infatti brucia. Brucia di ingiustizia e di vendetta. Un giorno arriverà anche quella. Ma non oggi. Oggi può solo annusare ciò che resta della sua amica. Dei suoi sogni e delle sue speranze. Respira profondamente. Poi si immerge nuovamente nella folla.

Monica Betti

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