Vanessa corre nella sua camera, sudata, spaventata ed ansimante. Non sa per quanti minuti abbia corso. Si tuffa sotto le coperte, come se quel gesto servisse a farla scomparire dal mondo. Anche oggi il tragitto verso casa è stato un vero incubo. Quelle ragazze l’hanno rincorsa, spintonata, le hanno detto cose che si vergogna anche a ripetere. Le hanno fatto persino un video. Chissà quanti secondi ci metterà a fare il giro della scuola. Quella scuola in cui lei domani dovrà tornare, non sa con quale coraggio. Magari si inventerà il solito mal di pancia e la mamma le permetterà di restare a casa. Ormai va avanti così da mesi. All’inizio pensava di potersela cavare da sola, che fosse un momento passeggero, che quelle ragazze si sarebbero stancate di prendersela con lei e avrebbero scelto qualcun altro. Invece non era stato così. Sembrava che inseguire Vanessa, insultarla, rubarle il berretto o l’ombrello, spintonarla fino a farla cadere, fosse un passatempo per quelle ragazze della sua età estremamente piacevole. Sembrava che la sua timidezza e la sua paura fossero irresistibili per loro, al punto da alzare di giorno in giorno la posta. Vanessa non sapeva più che cosa fare. Aveva già simulato diversi malesseri per evitare di tornare a scuola per qualche giorno, nella speranza che le acque si calmassero. Ma non poteva continuare così. Anche il rendimento scolastico cominciava a risentirne. L’avevano già trovata impreparata un paio di volte. Si era inventata un problema in famiglia, ma anche questa scusa non poteva proteggerla per sempre. Quelle ragazze non si sarebbero arrese, questo ormai era chiaro. Avrebbero continuato a cercarla, a volerle fare del male. Fino a quando? Non sapeva rispondere. Non sapeva nemmeno a chi avrebbe potuto chiedere aiuto. Comincia a pensare a che cosa ci sia di tanto sbagliato in lei: forse i capelli, gli occhi, il viso? O forse il suo modo di parlare, di muoversi? Eppure non le sembra di essere diversa dalle ragazze della sua età. Non le sembra di essere più alta, più bassa, più magra, più grassa, più bella o più brutta di qualsiasi altra. Cosa può irritarle tanto? Cosa può scatenare tanta cattiveria, al punto da godere nel deriderla, nell’umiliarla, nel farla sentire uno schifo? Vorrebbe scomparire Vanessa, vorrebbe sprofondare in un buco nel quale nessuno possa vederla o toccarla. Nessuno può immaginare come si senta. Nemmeno sua madre, la quale forse è insospettita dai brutti voti, dall’inappetenza, ma non le pone domande. La lascia ai suoi silenzi, dietro la porta di una camera che ormai è diventata il suo mondo. Si chiede se tutto questo un giorno finirà. Se potrà tornare a camminare serena per la strada verso casa. Se potrà andare avanti senza la paura di doversi guardare indietro. Tira fuori la testa, appena il tempo di vedere la luce che invade la stanza e poi si ritrae ancora una volta. Non è ancora pronta a tornare nel mondo. Ha bisogno di sentirsi ancora stretta alla sua coperta, l’unica a farla sentire protetta. Poi si abbandona sul cuscino e comincia a piangere lacrime di rabbia, mentre sfoga tutto il senso di ingiustizia che prova. Rimpiange un tempo in cui sembrava tutto più facile. Un tempo in cui poteva parlare senza prestare troppa attenzione a quel che diceva, in cui non era continuamente assillata dall’idea di dover rimanere nell’ombra, dalla paura che qualcuno potesse ferirla. Ferirla in un modo che non può più essere riparato.
Monica Betti, insegnante di Scuola dell’infanzia