Per i bambini e per i minori in genere già alla fine degli Anni Ottanta i mass media hanno cominciato ad essere un problema. Un tempo, per rispettare la maxima reverentia che si deve al puer bastava poco. Tra le classificazioni dei film “per tutti/per adulti/escluso” bastavano i genitori; per la stampa bastavano l’edicolante o il libraio. Per la verità, il codice civile prevedeva (e ancora prevede) l’abuso dell’immagine altrui e il potere del giudice di disporne la cessazione: ma le fotografie del neonato appena uscito dal bagnetto facevano parte delle più radicate tradizioni familiari.
Al cinematografo e alla stampa si è aggiunta poi con prepotenza la televisione. All’inizio degli Anni Novanta la Federazione Nazionale della Stampa insieme a Telefono Azzurro, all’Ordine dei Giornalisti e alla Città di Treviso hanno avvertito il bisogno di una autoregolamentazione che supplisse alla distrazione dei legislatori. E’ così che il 10 ottobre 1990 venne approvata e sottoscritta dai promotori la “Carta di Treviso”, il codice deontologico ispirato ai principi della Carta costituzionale repubblicana e della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo del 1989, il cui art. 16 vietava le interferenze arbitrarie nella vita privata, nella famiglia, nel domicilio e nella corrispondenza del minorenne, riconoscendogli il diritto alla protezione della legge.
Come tutti i codici deontologici la sua efficacia si è rivelata inizialmente modesta: ma già i tempi erano maturi per interventi più incisivi. E’ di quegli anni la riforma del processo penale minorile (d.p.r. 1988 n. 448), che all’art. 13 vieta la pubblicazione e divulgazione con qualsiasi mezzo di notizie idonee a consentire l’identificazione del minorenne comunque coinvolto nel procedimento, e in caso di dubbio presume la minore età ad ogni effetto. I tempi però non erano ancora maturi per una percezione del minorenne come soggetto titolare di propri diritti di personalità, non soltanto come un essere in divenire rappresentato dai genitori titolari della potestà. Di conseguenza si riteneva corretto che i genitori potessero liberamente disporre della sua immagine, ad esempio facendolo partecipare a concorsi di bellezza come nel film “Bellissima” di Luchino Visconti. E questo benché anche allora fosse vigente l’art. 10 del codice civile sull’ abuso dell’immagine altrui.
Una sensibilità assai maggiore è maturata agli inizi del XXI secolo. Il Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs 30 giugno 2003 n. 196, c.d. Codice della privacy) con l’art. 50 estende la protezione introdotta nel 1988 nel nuovo processo penale minorile anche al caso di coinvolgimento a qualunque titolo del minore nei procedimenti civili, ad esempio di separazione, divorzio, adottabilità. Per di più, l’art. 4 dello stesso Codice considera dati personali anche foto e video. Nel 2006 la Carta di Treviso del 1990 viene aggiornata e resa vincolante col d.p.r. 2007 nr.72).
Nel frattempo, a partire dalla seconda metà degli Anni novanta, tre fattori hanno profondamente mutato i termini del problema: la diffusione di Internet e della posta elettronica; lo sviluppo delle forme dei mezzi e dei modi della pubblicità; il dilagare dei social network conseguente all’evoluzione tecnica e al basso costo dei telefoni cellulari o smartphone. In Italia nel secondo decennio del XXI secolo la diffusione dei cellulari fra i bambini e i ragazzi è divenuta talmente elevata che un gruppo di deputati ha presentato alla Camera una proposta di legge che ne vieta l’uso a scuola e in generale la fruizione fino ai dodici anni di età, sotto pena di sanzioni ai genitori. Recentemente è intervenuto d’ufficio e con molta fermezza il Garante per la protezione dei dati personali che, a seguito della tragica morte di una adolescente palermitana, allo scopo di assicurare adeguata tutela agli utenti minorenni ha disposto nei confronti del social network cinese Tik Tok (che ha sede in Irlanda) il blocco immediato dell’uso dei dati degli utenti per i quali non sia stata accertata con sicurezza l’età anagrafica. Con successivo provvedimento e a seguito dell’impegno del network di adeguarsi alle richieste del Garante adottando misure per verificare l’età anche mediante sistemi di intelligenza artificiale, il blocco è stato attenuato.
Malgrado ciò, si deve riconoscere che i divieti ed i controlli vengono frequentemente ignorati o aggirati. In ogni cartoleria o supermercato si assiste all’esposizione e alla messa in vendita di oggettistica di poco prezzo per bambini (portapenne, portamonete…) recante immagini ammiccanti di “una ragazza Tik Tok”. Ma a livello politico accade anche peggio. Ai tempi della vicenda degli affidi illeciti di Bibbiano, il segretario di un partito politico al termine di un comizio chiamò sul palco una bambina con la madre, affermando falsamente che la piccola era stata restituita alla madre dopo un anno di allontanamento forzato e collocamento in casa famiglia.
Da ultimo la giurisprudenza ha affrontato casi in cui lo stesso genitore ha pubblicato immagini dei figli sui social network. Il Tribunale di Mantova con ordinanza 19 settembre 2017 ha ordinato alla madre l’immediata rimozione dell’immagine dei due figli, motivando il provvedimento sotto un duplice profilo: la violazione dell’art. 10 codice civile sulla tutela dell’immagine, e il comportamento del genitore potenzialmente pregiudizievole al figlio in quanto nella diffusione delle immagini a un numero indeterminato di persone è insito per il minore un pericolo. In senso analogo si è di recente espresso anche il Tribunale di Trani con ordinanza del 30 agosto scorso. Le due decisioni sembrano ammettere la liceità della pubblicazione con il consenso di entrambi i genitori: ma su questo si deve dissentire, poiché in presenza di un pregiudizio il Pubblico ministero potrebbe comunque chiedere al giudice una immediata inibitoria.
Luigi Fadiga, già magistrato minorile