Mio marito dice che abbiamo già cinque figli e quindi è una benedizione che questo sesto bambino che sta per arrivare venga accudito da una famiglia che può crescerlo senza fargli mancare nulla. Nessuno può capire cosa possa provare una madre alla quale viene strappato un figlio, fosse anche il ventesimo. E nessuno può capire che cosa succeda al cuore di una madre costretta a vendere il proprio figlio. Proprio così. Venderlo. Come si fa con le bestie, con gli oggetti.

Molte famiglie afghane come la nostra non hanno scelta. La vita ha assunto un costo troppo elevato. Non solo per noi adulti, ma anche per tutti i nostri figli. Non abbiamo più cibo. Ci manca tutto. E dobbiamo indebitarci anche solo per comprare un semplice pezzo di pane. Io posso rinunciare, ma i miei figli? Come faccio a non sfamare i miei figli? E così mio marito è andato a cercare un prestito. Ma i soldi non bastano mai. Non si può colmare un debito quando i soldi mancano ed il costo della vita aumenta.

Mi sono arrabbiata con mio marito, gli ho detto che doveva trovare assolutamente una soluzione. Lui è uscito di casa ed è tornato con questa proposta assurda.

Vendere il bambino che aspetto ci permetterebbe di pagare tutti i nostri debiti. E poi? Cosa accadrà quando saremo costretti a fare altri debiti e poi altri ancora?

So che può sembrare assurdo in una situazione come la mia, ma non faccio che pensare al bambino che sta per nascere, forse più di quanto pensi a quelli che ho già. Mi chiedo come sarà la mia vita senza di lui, come potrò superare i sensi di colpa, come potrò vivere resistendo alla tentazione di cercarlo, di riprendermelo.

Mio marito non mi vuole dire a quale famiglia lo darà. Perché ormai è già deciso. I due uomini si sono già stretti la mano e questo gesto è più forte di un patto scritto. Non vuole dirmi dove andrà mio figlio perché sa benissimo che andrei a riprendermelo.

Ho provato a piangere, ad implorarlo, ma mio marito non fa altro che ripetere che non abbiamo altra scelta. Che ha provato a cercare anche un altro lavoro, ma non potrebbe mai guadagnare i soldi che servono a ripagare quel debito. Dannati strozzini. Si approfittano della gente che non ha scelta. Se solo sapessero che cosa significa non mangiare. Sentire i morsi della fame, doversi accontentare di rifiuti, di cose non commestibili. Umiliarsi per un pugno di farina. Dover condividere quel niente che si ha con altre sei persone, tutte ugualmente affamate. Guardare i propri figli implorare altro cibo e non potergliene dare.

Mi sento vittima di una guerra invisibile, circondata da nemici di cui non conosco il volto, ai quali non ho fatto nulla, almeno intenzionalmente, ma che mi stanno privando di tutto ciò che ho. Della salute, della serenità, del mio diritto di essere madre, di occuparmi della mia famiglia come qualsiasi altra donna.

Perché proprio io non dovrei farlo? Perché proprio io sono costretta a vendere i miei figli?

Quale sarà il futuro dei bambini che ho già, ammettendo anche che riesca a non pensare più a questo che sta per nascere? Penso alle mie tre figlie. Lo so benissimo cosa sono costrette a subire le figlie femmine, anche giovanissime, le cui famiglie non possono sfamarle e devono cercare come possono di racimolare qualche spicciolo.

Io voglio solo mio figlio, come qualsiasi altra donna. A volte mi chiedo cos’ho fatto di male. Per essere nata donna, per essere nata in questa parte del mondo, per non avere scelta. Per non poter fuggire, scappare con il mio bambino. Perché salvare questo significherebbe abbandonare gli altri cinque. E qualsiasi scelta mi dilania il cuore.

Monica Betti, insegnante di Scuola dell’infanzia