Con una ordinanza dello scorso gennaio (Cass., 25 gennaio 2021 nr. 1476), la Corte di cassazione ha formulato il principio di diritto secondo cui l’adozione cosiddetta ‘legittimante’ prevista dagli artt. 25 e 27 della l. 1983 n. 184, che determina la cessazione di ogni rapporto dell’adottato con la famiglia d’origine coesiste nell’ordinamento con la diversa disciplina dell’adozione in casi particolari, (art 44 lettera d) stessa legge) che non comporta l’esclusione di tali rapporti.

Il giudice chiamato a decidere sullo stato di abbandono del minore deve anzitutto accertare la sussistenza dell’interesse del medesimo a conservare il legame e i rapporti con i genitori biologici, pur se deficitari nelle loro capacità genitoriali, per cui l’adozione c.d. legittimante costituisce una extrema ratio. L’adozione in casi particolari può costituire invece un idoneo strumento giuridico per il ricorso alla cosiddetta ‘adozione mite’, che quei rapporti consente e mantiene. Pertanto, la Corte ha cassato la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di appello per un nuovo esame del merito.

Punto di forza della decisione è il richiamo alla giurisprudenza della Corte Europea di Diritti dell’Uomo e all’art. 8 della Convenzione, che afferma il diritto al rispetto della vita familiare e impone agli Stati di dotarsi degli strumenti giuridici necessari e adeguati a tal fine. L’adeguatezza deve essere valutata “anche in base alla rapidità della sua attuazione, in quanto lo scorrere del tempo può avere conseguenze irrimediabili tra il minore e il genitore che non vive con lui”.

Evidentemente, i nostri giudici di legittimità considerano adeguato il nostro “apparato giuridico” in materia di adozione. Esso, certamente obsoleto, disciplina l’adozione legittimante come regola e quella in casi particolari come eccezione. Mettere sullo stesso piano queste due forme, o addirittura affermare che la seconda prevale sulla prima, costituisce uno sforzo interpretativo difficile da condividere sia dal punto di vista giuridico che lessicale.

Non condivide quello sforzo la Corte costituzionale, cioè il giudice delle leggi. Essa infatti in due decisioni recenti già commentate in questa rassegna ha considerato insufficiente il sistema dell’adozione in casi particolari per come attualmente regolato (sentenza nr. 32 /2021; sentenza nr. 33/2021), giudicando indispensabile la sua riforma ed affermando inoltre che “non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa al riguardo”.

Preso atto di ciò, va detto che la giurisprudenza in materia di adozione di minori va letta con occhiali a lenti bifocali, capaci cioè di leggere non solo la norma ma anche la vicenda umana ad essa sottesa. In questo caso si tratta di una bambina nata all’inizio del 2012, che nel maggio dello stesso anno, a cinque mesi di vita, viene collocata in affidamento familiare previa decadenza della responsabilità genitoriale di entrambi i genitori. Nulla viene detto del padre; della madre invece si dice che abbia dimostrato interesse per la bambina, incontrandola alcune volte col permesso del tribunale per i minorenni. Il medesimo tribunale tuttavia nel 2018 dichiarava lo stato di adottabilità, essendo emersa dallo svolgimento dei fatti la consapevolezza della donna di non essere in grado di prendersi cura della figlia.

Gli occhiali con le lenti bifocali ci permettono di vedere che la bambina ha ormai sette anni, trascorsi interamente (meno i primi cinque mesi di vita) nella famiglia degli affidatari che essa percepisce come genitori. Ipotizzando molto ottimisticamente che la nuova decisione di merito definitiva possa essere emessa dalla corte territoriale entro il prossimo anno, la vita futura della fanciulla sarà decisa quasi alla fine del ciclo scolastico di primo grado. Nel frattempo, essa vivrà nella completa incertezza della sua sorte. E qui andrebbe valutato dove sta la mitezza e dove sta la ferocia dell’adozione.

Luigi Fadiga