Il percorso di integrazione oggi è destinato a incontrare ostacoli, che vanno dalla ricerca del lavoro ma, soprattutto, al reperimento di un alloggio.
L’autonomia abitativa resta ora uno dei maggiori problemi, perché mette i rifugiati, e le persone di colore titolari di permessi di soggiorno per protezione internazionale, generalmente provenienti dall’Africa e dall’Asia, a contatto con una parte della società civile, rappresentata dai proprietari di appartamenti, ostile a stipulare contratti d’affitto. Sembra, il colore della pelle, un elemento discriminatorio insormontabile: basta rapportarsi con i titolari di agenzie immobiliari, per apprendere quanto appena descritto.
E’ proprio su questo problema che la mia famiglia allargata, ossia mio marito ed io con i nostri tre figli e le nostre tre nuore, già nel 2015, ha scelto di mettere a disposizione un piccolo appartamento, contiguo a quello abitato dal mio nucleo familiare, a quei migranti che erano ormai nella fase terminale del percorso di integrazione, ma bisognosi di alloggio temporaneo.
Le persone accolte sono state diverse, e paradigmatica di quanto esposto finora è la situazione di U., ultimo nostro inquilino (è fondamentale, per chiedere la cittadinanza, dimostrare di essere titolare di un regolare contratto d’affitto e U. era ospite presso una parrocchia).
U. è titolare dello status di rifugiato, è dipendente di un’azienda con contratto a tempo indeterminato da diversi anni, è un ragazzo “perbene” (a volte, scherzando, con i volontari che ce lo hanno presentato lo definiamo un po’ rigidino, proprio per la tendenza a rispettare rigorosamente le richieste che riceve ), è educato, onesto e corretto: lavora in un paese della provincia e non è stato possibile trovare un proprietario di appartamento disponibile ad accogliere la sua richiesta nelle vicinanze dell’azienda. E’ l’inquilino ideale ma, ha la pelle nera…peccato che per raggiungere il luogo di lavoro e rientrare presso l’abitazione debba prendere diversi mezzi e impieghi tre ore tutti i giorni.
P., altra persona con le stesse caratteristiche di U. che abbiamo ospitato, ha preso appuntamento telefonico con un’agenzia immobiliare, quando si è presentato si è sentito dire: “peccato, non mi avevi informato che sei nero, è inutile presentarci, il padrone di casa ha posto il veto, l’appuntamento salta”. P, che è in Italia dal 2015, ha finalmente trovato alloggio, con la mediazione del servizio sociale. Noi, come “famiglia d’appoggio”, abbiamo firmato la garanzia che il contratto d’affitto sarà rispettato.
Nell’amaca del 3 giugno 2021 Michele Serra scrive quanto detto da Joe Biden a Tusla, in Oklahoma: “Il suprematismo bianco è la più grande minaccia per il nostro paese”.
E’ un problema che riguarda solo l’America e non è opportuno vedere connessioni con l’esperienza italiana? Non è la sede, né chi scrive ha la competenza per farlo, per un approfondimento storico e geopolitico di due paesi diversi, ma si segnalano alcune situazioni successe in Italia, tra le tante, che non sono dimostrative di un clima irrispettoso verso chi ha un colore della pelle diversa.
In data 6 giugno i giornali riportano che un ragazzo di anni venti, adottato, originario dall’ Etiopia, si è suicidato. Aveva doti eccezionali di calciatore, ha infatti giocato nella squadra giovanile del Milan. I genitori hanno sottolineato che tra il suicidio del figlio e gli episodi di razzismo non c’è un nesso ed è doveroso rispettare l’interpretazione della famiglia: lo stesso ragazzo aveva scritto, nel 2019, un messaggio sui social dove esprimeva molta sofferenza per gli episodi di razzismo subìti.
Un passaggio è particolarmente significativo: “Ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, specie anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche come responsabile perché molti giovani italiani non trovassero lavoro (…) il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che sta vivendo chi preferisce morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno ”.
Nella stessa giornata viene descritta un’aggressione che ha ricevuto un medico dipendente dall’Inps incaricato di effettuare le visite fiscali ai dipendenti assenti per malattia: quando il medico, originario del Camerun, si è recato presso l’abitazione del dipendente questi non c’era, salvo sopraggiungere poco dopo in tenuta da mare. All’aggressione verbale, “negro di m…non potete venire qua a fare il c… che volete”, è seguita una serie di minacce: “adesso tu firmi che io ero in casa altrimenti non esci vivo, ti spacco la testa”. Il tablet del medico è poi stato scaraventato per terra. Ad assistere alla scena c’erano delle persone, ma il medico non è stato aiutato da nessuno.
Le persone debbono contare di più rispetto al gruppo di appartenenza in ordine al sesso, all’età e al colore della pelle; quanto riferito sembra dimostrare il contrario, perciò quanto detto da Biden deve valere per tutto il mondo.
Per chi vuole aggiornamenti sulla normativa https://www.openpolis.it/parole/come-funziona-laccoglienza-dei-migranti-in-italia/.
Dina Galli, assistente sociale, già docente del Master