Ideazione: Russell T Davies

Produzione: Red Production Company

Nel febbricitante flusso produttivo delle serie TV spesso assistiamo ad, evidenti, operazioni di prolungamento delle opere con inevitabile annacqumento della qualità. Basterebbe questo per provare una forte stima per It’s a sin, una miniserie britannica che avrebbe potuto essere narrata con il doppio delle puntate senza rubare nulla a nessuno. Per fortuna c’è ben altro. Londra, 1981. Tre diciottenni/e si incontrano casualmente e decidono di andare a vivere insieme in un appartamento mezzo diroccato. Durante la festa di inaugurazione si aggiunge al gruppo il quarto. Ed eccoci pronti per essere centrifugati dalle restanti quattro puntate. Perché tre di loro sono gay. Ripudiati dalle rispettive famiglie. A Londra. Allo scoppio della pandemia di AIDS.

Raccontare di un momento così complesso senza cadere nel pietismo non è facile. It’s a sin ci riesce grazie ad una narrazione essenziale, delle caratterizzazioni dei personaggi che ben equilibrano spazi di immedesimazione ed imperfezione. È una storia in cui la morte ci accompagna costantemente eppure riesce ad essere un inno alla vita. Forse perché ne si accetta la naturale complessità.

La serie non esprime intenti didascalici o educativi, però pone domande. Tante. Sull’essenzialità della propria ricerca personale, sulla difficoltà nel tenere insieme necessità è coerenza con i propri valori, sul senso della famiglia come luogo di accettazione. La situazione politica discriminatoria fotografata tra l’occultamento e la manipolazione delle informazioni sull’AIDS e la crociata contro la comunità gay ci mettono davanti alle difficili scelte della lotta non violenta. Una situazione racconta sotto differenti punti di vista offrendo l’idea di una complessità difficile da inquadrare. Il tutto senza pesantezza. Anzi, ma qui si entra nel personale, la serie mi ha lasciato una sanzione di necessità e piacere per quello che la vita può offrirci.

Il pregio forse è il volerlo raccontare attraverso delle piccole storie che ci porta dentro la vita.

Frutto anche di uno stile di ripresa intimo, mai patinato, a volte quasi documentaristico nella sua essenzialità. Nulla è lasciato al caso in It’s a sin. Il casting credibile e realistico. La fotografia ben equilibrata che permette un salto nel tempo senza scadere nel già visto.

La colonna sonora che unisce i brani originali di  Murray Gold ad un’immersione sapiente im alcuni degli artisti  iconici del periodo: Pet Shop Boys, Kate Bush, Blondie ed altre voci ancora. Al di là delle tematiche specifiche che la serie affronta è la sua capacità di toccare grandi passioni e domande che accomunano tutte e tutti ad averne fatto un successo di pubblico e di critica rendendola semplicemente da vedere assolutamente.

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