Nel confronto con gli altri paesi europei l’Italia è al quartultimo posto per numero di early school leavers, ben distante dal valore medio dell’Unione (10,6%). I rapporti ci indicano che risultati peggiori si registrano solo in Spagna (17,9%), Malta (17,4%) e Romania (16,4%). L’Unione Europea aveva stabilito come obiettivo per il 2020 di ridurre al di sotto del 10% il numero di Early school leavers. Al momento 17 stati hanno raggiunto tale obiettivo. Ogni banco che resta vuoto, ogni banco abbandonato è una dilapidazione in termini umani e sociali che può portare a forme di esclusioni che segneranno la vita adulta del ragazzo che abbandona la scuola e spesso anche quelle dei suoi figli. La scuola ha davanti a sé molte sfide legate all’inclusione e all’eludere il più possibile il rischio di drop out scolastico degli studenti. Non sappiamo esattamente i dati post- didattica a distanza sull’abbandono scolastico ma in questo momento storico, tale sfida diventa ancora più rilevante. Sappiamo di fatto che chi resta fuori dai percorsi scolastici (dati Istat, Invalsi e Osservatori) è spesso figlio/a di coloro che non hanno il diploma. In 2/3 dei casi i figli di chi non ha il diploma non si diplomeranno. Ciò significa che l’ereditarietà del drop out e della povertà educativa hanno implicazioni potentissime anche nel trigenerazionale e quindi nel futuro. Non raggiungere il diploma per gli adolescenti che hanno privazioni economiche comporta rischi altissimi di divenire adulti a rischio di esclusione sociale, più poveri e con un futuro più precario. Uscire dal percorso scolastico sembra quindi creare un diniego vero e proprio a una delle scelte più importanti per l’adolescente: la scelta di indirizzo scolastico dopo la terza media ossia, l’orientamento scolastico futuro con tutte le sue implicazioni. Questi dati ci impongono domande importanti. Come perturbare tutto questo che immancabilmente porterebbe a divari tra territori con istruzioni più basse, territori con popolazione più qualificate, diseguaglianze che potrebbero aumentare anche nelle generazioni successive? La scuola potrebbe intercettare tali indicatori di rischio e di povertà e aumentare il servizio educativo in modo da non disperdere gli studenti in questo fondamentale momento di passaggio? Lo si potrebbe pensare sia in didattica a distanza garantendo tale diritto per i ragazzi che non hanno dispositivi adeguati, sia in tempi di didattica in presenza? Ancora, in un’era fortemente narcisistica come quella attuale, il nuovo metodo di valutazione delle scuole elementari potrebbe essere pensato anche per le scuole medie e superiori? Darebbe più strumenti ad insegnanti, genitori, educatori e ragazzi per riflettere e cogliere risorse e difficoltà del pre-adolescente o del ragazzo rispetto a un numero sterile, che poco narra sulla persona ed etichetta spesso il suo presente e il suo futuro? La scuola potrebbe divenire un luogo più aperto ai giovani sia come tempi che come spazi? Potrebbe fortificare le sue offerte e/o ospitare nei suoi spazi associazioni, compagnie teatrali, volontari che vadano ad aumentare le offerte educative? Ancora, in una società fluida come quella attuale, quanto sarebbe importante ospitare lo psicologo fisso nella scuola per sostenere sia insegnanti che ragazzi? Queste domande mi fanno pensare che potrebbe essere davvero giunto il momento di ripensare la scuola. Il ministro Bianchi ha parlato di “una scuola affettuosa” capace di ricostruire la dimensione relazionale e cooperativa, la “socialità” dopo anni di individualismo spinto. Una scuola affettuosa significa anche una scuola che non “stacca” nessuno.  Iniziare a riflettere in tali termini a livello politico e sociale credo sia fondamentale per creare nuove modalità di concepire l’istituzione scuola, modalità che potrebbero boicottarne gli aspetti che è stata definita fino ad oggi, “una scuola colabrodo” da alcuni report. Oggi osserviamo che spesso, tramite WhatsApp o mail, i ragazzi direttamente o tramite i loro rappresentati, sono collegati con i loro docenti praticamente h 24; la pandemia ci ha mostrato anche questi aspetti inusuali: nella distanza, alcune vicinanze si sono fortificate. Questo ci ribadisce che i ragazzi sono interessati agli scambi educativi e sono interessati alla relazione autentica. La pandemia ha comprovato (e i nostri ragazzi “digitali” ce lo dicono ormai da tanto tempo) che non esiste più la differenza tra vita on line e virtuale. Sapere, cultura, relazioni, emozioni passano in luoghi che i ragazzi scelgono o che gli sono stati imposti (a causa della pandemia), che sono virtuali ma non per questo con conseguenze meno concrete. Le relazioni educative autentiche sembrano il denominatore comune che i ragazzi ricercano dall’adulto significativo sia virtualmente, che in presenza. Siamo di fronte a possibilità interessanti e creative per la nostra scuola, scuola che deve essere ripensata nei suoi tempi e nei suoi spazi per includere e non disperdere i nostri ragazzi e le nostre ragazze.

Licia Barrocu, docente del Master