Non sono tantissimi i principi su cui gli operatori che a vario titolo si occupano di formazione di bambini e adolescenti si trovano in accordo. Ma tra questi, la conquista dell’autonomia rappresenta probabilmente il fine verso cui tendono, pur attraverso strategie differenti, pressoché tutti i percorsi di formazione. D’altra parte è indubbio che un ragazzo “è diventato grande” quando mostra autonomia, sia essa intesa in senso stretto, come capacità di svolgere da solo ciò per cui prima aveva bisogno dell’adulto, sia in senso più ampio, come capacità di prendere decisioni e autodeterminarsi. Questa conquista dell’autonomia sembra essere la linea di confine tra il bambino e l’adulto; e così intesa, rappresenta probabilmente la categoria di riferimento principale dell’adolescente, che per questo viene generalmente inquadrato come colui che appunto attraversa la fase di passaggio dal bambino all’adulto. Tuttavia, pur essendo il concetto di autonomia ampiamente condiviso come compito di sviluppo dell’adolescente, è possibile avanzare una riflessione critica rispetto alla sua capacità di descrivere altresì appieno anche la condizione giovanile. Come ogni fase della nostra età, anche la condizione giovanile, prima tappa dell’individuo diventato adulto, che per convenzione collochiamo tra i 18 e i 30 anni circa, ma che più propriamente, sulla base di considerazioni non solo biologiche (lo sviluppo del cervello dell’adolescente a 18 anni non è ancora terminato!), dovremmo inquadrare tra i 24/25 e i 35 anni circa, ha le sue prerogative. L’autonomia è ormai già conquistata e il giovane ha di fronte a sé un’altra sfida, che chiamerei dell’interdipendenza. L’autonomia, come compito dell’adolescente, riguarda in un certo senso l’individuo in relazione a se stesso, quasi isolato dal contesto o comunque non necessariamente considerato rispetto al contesto, se non in senso ristretto (famiglia, gruppo dei pari…); l’interdipendenza, come compito del giovane, riguarda invece la relazione dell’individuo con la sua comunità di appartenenza. L’autonomia ha in un certo senso il suo focus nell’individuo; l’interdipendenza nelle relazioni che l’individuo co-costruisce con altri individui. Non è un caso che una delle caratteristiche essenziali dell’adolescenza sia proprio la differenziazione del ragazzo dall’adulto (dal genitore in primo luogo) e tantomeno è un caso che proprio la separazione sia uno dei processi fondamentali dello sviluppo del cervello dell’adolescente. Tale processo, che riguarda la riduzione del numero delle cellule, i neuroni, e delle loro connessioni, le sinapsi, viene chiamato “potatura” proprio perché consiste in un taglio con le connessioni in eccesso prodotte durante l’infanzia. Ma come a livello fisiologico a questo processo di “potatura” si affianca quello della formazione della “mielina” che favorisce la creazione di nuove connessioni utili a rendere il cervello più integrato, così a livello sociale l’autonomia dell’adolescente è il necessario preludio ai compiti di interdipendenza del giovane. L’integrazione non sarebbe possibile senza la separazione; l’interdipendenza non sarebbe possibile senza l’autonomia: solo un adolescente autonomo può assumersi il compito di integrarsi nella propria comunità di appartenenza. I due compiti, l’autonomia e l’interdipendenza, non sono quindi in contrasto, ma in linea di continuità. Ma proprio per questo possono rappresentare categorie utili a descrivere quel passaggio e proprio per questo sarebbe insufficiente, ai fini della comprensione della condizione giovanile nella nostra società complessa, utilizzare la sola categoria dell’autonomia. Un giovane potrebbe ben essere autonomo, ma non integrato nella società cui appartiene. Le domande più pertinenti rispetto alla condizione giovanile non riguardano semplicemente il suo livello di autonomia, quanto piuttosto la capacità di utilizzare la sua autonomia nei compiti di integrazione dentro la società. Un giovane potrebbe cioè essere capace di decidere, di autodeterminarsi, di lavorare, ma potrebbe non ancora aver assunto su di sé una responsabilità in termini di partecipazione attiva alla vita sociale della sua comunità; potrebbe essere autonomo, ma non ancora impegnato nella co-costruzione di interdipendenza. Concretamente un segnale di questo nuovo compito è il dovere di trovare un lavoro, che va inteso appunto non solo come dovere verso se stessi, ma anche verso la propria comunità, e non per aspetti meramente economici: si tratta di un dovere di interdipendenza come realizzazione effettiva, concreta, della propria autonomia. Alcuni mesi fa il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo di Virginia Piccolillo in cui si rende nota la posizione della Corte Suprema di Cassazione sul caso di un docente precario di 35 anni per il quale il giudice di primo grado aveva riconosciuto il diritto all’assegno di mantenimento, poi revocato dalla Corte d’appello di Firenze. La necessità, riportata nell’articolo, di passare da un’ottica di assistenzialismo a quella della autoresponsabilità, sta alla base della decisione della Corte di confermare la revoca dell’assegno di mantenimento e chiedere che il giovane si adoperi nella ricerca di un lavoro che lo metta nelle condizioni di mantenersi da solo. Sembra questo un caso tipico in cui la raggiunta autonomia del giovane in questione, sia dal punto di vista delle sue capacità lavorative sia dal punto di vista della sua capacità di autodeterminazione, da sola non basta a soddisfare la sua condizione giovanile. Occorre che tale autonomia si esplichi nel dovere della ricerca di una posizione nuova dentro la comunità di appartenenza. Credo che sia particolarmente interessante riflettere sul fatto che tale dovere trovi il suo fondamento, secondo quanto ritenuto dalla Corte d’appello e confermato dalla Suprema Corte, sull’autonomia come “capacità di mantenersi” e proprio sulla base dell’autonomia esso debba concretamente tradursi in una azione responsabile. Il giovane cioè ha l’obbligo di rispondere della propria condizione alla comunità cui appartiene, superando l’inconcludenza della ricerca di un lavoro protratta all’infinito. Il giovane non è semplicemente un ex adolescente ormai autonomo, ma un adulto che co-costruisce interdipendenza e proprio in funzione di tale interdipendenza è responsabile, cioè deve rispondere della sua condizione. In questo senso la sentenza della Cassazione nell’articolo citato, sembra alquanto pertinente, in quanto richiama il giovane ai suoi doveri di interdipendenza sociale. Mi sembra quindi interessante pensare al giovane come colui che ha compiuto il suo percorso da adolescente, è cresciuto e ha acquisito la necessaria autonomia, e che ora proprio in funzione di quella autonomia ha il dovere di assumersi la responsabilità dello sviluppo di una certa interdipendenza con la comunità sociale in cui vive, a tutti i livelli, familiare, locale, nazionale, internazionale, globale.

Massimo Serra, docente del Master