L’autismo è un disturbo psicopatologico molto grave e invalidante. Esso costituisce oggi uno degli argomenti di studio e di ricerca più impegnativi, ma anche più affascinanti in campo clinico, medico, scientifico e umanistico. Mai come dagli ultimi decenni le ricerche sull’autismo sono vive e crescono a vista d’occhio. Le ragioni di un simile incremento sono senz’altro molteplici, ma vanno ricercate nell’assoluta peculiarità dell’oggetto d’indagine.  L’autismo infatti si differenzia da altre forme di disabilità e di sindromi potenzialmente, anche se non sempre, concomitanti con un deficit intellettivo. I bambini autistici in certi loro caratteri non sono come gli altri bambini, e non sono come gli altri bambini affetti da altre forme di disabilità intellettiva. Si tratta di bambini, in maggioranza maschi, a volte caratterizzati da una grazia tutta particolare, e che tuttavia denotano una seria disabilità, mentre presentano talenti e aree della mente in grado di liberare attitudini geniali e tutt’altro che banali, per esempio in ambito musicale, artistico, matematico e di altra natura. La peculiarità dell’autismo, la sua essenza patologica, risiede nella sua forma di disabilità, una disabilità sbilanciata e che ha importanti ricadute sul piano della comunicazione e dell’interazione sociale; motivo e cagione di enorme interesse, ma al tempo stesso di assai difficile comprensione, tale da sfidare i comuni approcci della clinica e della scienza da decenni. Come spiegare infatti la particolarità di bambini o di persone adulte, a volte così sensibili, ma che hanno tali difficoltà sul piano dell’interazione sociale, che li rendono quasi inafferabili o irraggiungibili. Dopo la prima fase delle ricerche sull’autismo, dominata dal contributo della psicoanalisi, che annoverava l’autismo tra le forme di psicosi infantili, siamo oggi in piena fase neuroscientifica e neuropsicologica, che ha fornito contributi scientifici all’avanguardia, al cui progresso è legata una grande speranza, ma anche che ha consegnato un’immagine forse più meccanica e meno interessata al concetto di unitarietà della persona nella sua unicità e affettività. Agli psicologici clinici e agli educatori spetta invece probabilmente questo compito: quello di darci un’immagine il più possibile umana dell’autismo, all’interno dei suoi normali contesti di vita, in vista della messa a punto di programmi d’intervento psicologici, educativi e riabilitativi efficaci, ma anche creativi, in grado di rendere conto e di valorizzare al massimo le potenzialità e la ricchezza della menta autistica. Di autismo ancora oggi, sappiamo tristemente, nei casi gravi non si guarisce. Ma molto può essere fatto per alleviare il dolore, aumentare le possibilità di progredire nello sviluppo intellettivo e affettivo e migliorare la vita delle persone con autismo. Allo stato attuale tutte gli interventi riabilitativi più importanti nell’autismo, nonostante l’eziologia su base neurobiologica, fanno leva sulla qualità delle relazioni sociali con i caregiver e con operatori delle scienze dell’interazione e dell’educazione pronti e preparati. È una opportunità di crescita per la popolazione delle persone autistiche, e al tempo stesso per queste discipline, in un campo così affascinante di studio e d’intervento.

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