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Capitolo 1

Ci sono libri che, letti in momenti particolari della propria vita, possono cambiarla profondamente. Ci sono relazioni umane che segnano l’esistenza e le donano il colore e il calore che porterà con sé per sempre. A volte ci sono entrambi. E’così che è nata la mia storia.

Non ricordo quando ho imparato a leggere, non ricordo nemmeno quando ho cominciato ad appassionarmi alla lettura. I libri sono sempre stati presenti nella mia vita, come la colonna sonora in sottofondo ad un film. Non ricordo nemmeno quando ho imparato a scrivere. Ho imparato prima a leggere o a scrivere? Non saprei. So solo che quando guardavo le figure di quei libri per bambini che ormai conoscevo a memoria e recitavo come una poesia sfogliandone le pagine, mi sembrava che quelle scritte mi fossero familiari. Ricordo le voci di mia madre e di mia nonna mentre interpretavano per me storie che porto ancora nel cuore. Ricordo le storie che, da ragazzina, ho scelto di leggere. E ricordo bene il giorno in cui la scelta di due libri ha segnato una svolta nella mia vita. Questa notte ho sognato che ero tornata a vivere alla Caricheria. E mentre, nel sogno, ripercorrevo il vialetto d’ingresso di quel vecchio casolare appartenuto per tanti anni alla mia famiglia, che si stagliava davanti allo sfondo delle colline forlivesi come un antico monumento a persone e luoghi ormai vivi solo nei miei ricordi, ho provato la sensazione di essere tornata a casa. Ho rivisto me stessa bambina, mentre giocavo da sola nel giardino dietro alla stalla, mentre nonna Iris dalla finestra chiamava il mio nome ogni volta che mi allontanavo. Allora, quando sentivo la sua voce, ed ero certa che lei non potesse vedermi, mi nascondevo in qualche angolo segreto, aspettando che lei, preoccupata, mi venisse a cercare. Mi sembra di sentire ancora il cigolio della porta d’ingresso mentre veniva aperta e chiusa rapidamente, ed i passi svelti della nonna scendere verso il prato, dove il ticchettio dei piccoli sassi del viale al contatto con il cuoio veniva sostituito dal sottile fruscio dell’erba ormai alta contro le sue lunghe gonne di cotone pesante. “E’inutile che ti nascondi”, diceva, “tanto lo sai che ti trovo”. Aveva ragione. Mi trovava sempre. La casa in cui vivo ora assomiglia alla casa della Caricheria. Ha un grande giardino delimitato da una folta siepe, e dalla finestra della cucina riesco a vederne tutto il contorno. Immagino di poter vedere i miei figli crescere e giocare qui e mi piace sognare che, un giorno, anche i miei genitori si trasferiranno in questa casa: torneremmo così ad essere una grande famiglia, come quella che abita nei miei ricordi. Mio marito ha lasciato che io arredassi la casa come desideravo; così, oltre alla cucina e alla sala da pranzo, ho preparato molte camere da letto: mia suocera dice che l’ho fatto perché spero di avere tanti bambini, o perché voglio essere pronta ad accogliere mamma e papà quando non saranno più in grado di vivere da soli. La verità è che quando penso alla mia casa, penso agli anni passati alla Caricheria, con i miei genitori e con i nonni paterni. E così cerco di fare spazio alle persone che amo: a quelle che sono state nella mia vita e che oggi sono lontane, ma che mi illudo sempre che possano tornare, a quelle che tuttora riempiono le mie giornate ed i miei pensieri e a quelle che non ci sono più. A volte mi soffermo a pensare alla sottile trama che lega la vita delle persone, all’invisibile intreccio che fa sì che uomini e donne che per loro volontà forse non si sarebbero mai conosciuti né mai avrebbero condiviso un tratto del loro cammino insieme e che, invece, per forze al di sopra di ogni consapevolezza, si trovano ad incrociare le loro esistenze: alcune rimangono indissolubilmente legate per il resto della vita; alcune si fanno compagnia per un po’, fino a quando il desiderio di stare insieme lentamente si consuma e, senza spiegazioni, ognuno segue il proprio filo invisibile verso altre storie ed altre verità; alcune, che desidererebbero camminare insieme ancora a lungo, sono costrette a separarsi perché il destino  terreno di nessun uomo contempla l’eternità. Eppure, ogni volta che due fili si sfiorano, indipendentemente dalla trama che andranno a formare, sono destinati a costruire un nodo che rimarrà nella storia della nostra vita: non potremo mai tornare indietro per scioglierlo o per crearne un altro identico in un altro punto del nostro percorso. Ma, se lo vogliamo, possiamo ricordare.

Silenzio prima di nascere, silenzio dopo la morte, la vita è puro rumore fra due insondabili silenzi (I. Allende). La nostra vita scorre così, non sappiamo da dove siamo venuti e dove siamo diretti, siamo consapevoli solo di ciò che viviamo, o meglio, mettiamo a disposizione la nostra anima ed il nostro corpo agli eventi di tutti i giorni, per decidere o capire solo in un secondo momento se ciò che abbiamo vissuto ci abbia reso felici. Nel salotto ho voluto far costruire una grande libreria, dove trovano posto i libri che ho letto nella mia adolescenza e nell’età adulta. Al buio mi avvicino alle scansie e sfioro la copertina di ognuno. Non ho bisogno di accendere la luce: riconosco uno per uno i miei libri solo sfiorando la filigrana delle pagine; a volte mi sembra persino che alcuni libri, probabilmente quelli che amo di più, abbiano un odore particolare. Anche la nonna aveva una libreria simile nella casa della Caricheria, solo che lei l’aveva riempita di libri Harmony, esclusivamente della collana rosa. Li comprava tutte le settimane nell’edicola del paese, dopo aver risparmiato i soldi della misera pensione, e li divorava nelle lunghe notti insonni alla luce di una abat jour di ceramica bianca oscurata da un fazzoletto di lino, per non svegliare il nonno, che in gioventù si diceva non condividesse la sua passione per la lettura. Gli anni della Seconda Guerra Mondiale, quando si erano conosciuti e sposati nel giro di cinque mesi, non erano fatti per le donne colte, ma per quelle che sapevano accudire la casa e crescere i figli. Non so perché nonna Iris li leggesse con tanta avidità:  forse le regalavano l’illusione, almeno nella fantasia, di poter vivere una vita diversa da quella che lei aveva vissuto, forse l’immancabile lieto fine le faceva dimenticare per pochi istanti la fatica di aver concepito e partorito due figli sotto ai bombardamenti, di averli cresciuti negli inverni rigidi e nevosi e nelle estati torride con i parchi proventi del lavoro da calzolaio di nonno Pupi, per concludere la sua esistenza, ancora alla Caricheria, ad accudire l’anziano marito colpito da un ictus subito dopo la mia nascita.

 I romanzi parlavano d’amore con parole così belle che a volte gli facevano dimenticare la barbarie umana (L. Sepulveda). Nonna Iris, durante la Guerra, aveva conosciuto gli estremi confini della barbarie umana: dopo i combattimenti e quell’aspra quanto insensata lotta fra padri e figli, fra fratelli, fra amici d’infanzia uguali in tutto e per tutto tranne per il colore della camicia, il suo paese non era più stato quello di prima. Dopo la guerra, tutti si guardavano con estrema diffidenza e solo un lungo ricambio generazionale portò una relativa pace in quella terra così colpita. Ma nulla servì a dimenticare. Io sapevo che nonna Iris leggeva di notte. Lo sapevo perché, dalla mia camera, vedevo la luce accesa nella sua stanza e perché, al mattino, nella libreria, vi era una fessura fra i volumi che indicava che erano stati prelevati almeno tre o quattro libri. Nella mia fantasia, immaginavo che quei libretti rosa dovessero essere davvero interessanti se nonna si privava delle ore del sonno per leggerli. Così, in un noioso pomeriggio in cui girovagavo per la casa in cerca di un’occupazione gratificante, entrai nella stanza in cui vi era la preziosa libreria e decisi di prendere uno dei libri che si affacciavano dallo scaffale: la copertina raffigurava una bellissima donna con un lungo vestito da sera che ballava un bellissimo uomo dai capelli corvini. Avevo circa nove o dieci anni, e credo di aver pensato che nonna Iris leggesse libri in cui venivano raccontate storie di principesse. Mia madre mi trovò, a poche pagine dall’inizio, accovacciata vicino alla scrivania. Con uno scatto felino mi strappò il libro dalle mani dicendo che non dovevo più andare in quella stanza, perché quelli  erano libri che solo i grandi potevano leggere. Nonostante avessi un timore reverenziale nei confronti di mia madre, e nonostante la solenne promessa di non prendere un altro libro fino a nuovo ordine, non riuscii a resistere a lungo alla curiosità di sapere che cosa venisse narrato in quei romanzi: cosa si poteva celare di tanto terribile dietro un’innocua copertina rosa con la fotografia di Barbie e Ken? Così feci come Isabel Allende, che si iniziò alla lettura di romanzi d’amore nascosta tra le ante dell’armadio segreto di zio Ramòn, dove nascondeva una vecchia edizione de “Le Mille e Una Notte”: come lei, in quell’età così giovane, in cui in realtà non capivo il significato della maggior parte delle parole e dei contenuti, soprattutto quelli più scabrosi, scoprii che esistevano possibili relazioni tra maschi e femmine ben diversi da quelle che abitualmente intrattenevo con i bambini vicini di casa. Nonostante, da adulta, non abbia mai più ripreso in mano un libro Harmony, so per certo di ricordare almeno due di quei romanzetti letti eludendo la sorveglianza di mia madre, come due dei romanzi più belli che abbia letto nella mia vita. So che se li rileggessi oggi cambierei idea, ma mi piace mantenere questo dolce ricordo. Quelle pagine rubate non erano una fuga da me stessa, né dal mondo pieno di affetto che mi circondava: erano piuttosto una ricerca della mia identità, così desiderosa di arrivare alla vera essenza delle cose, senza che nessuna regola si frapponesse fra me e la verità. Oggi so che la verità che cercavo non era la Verità del mondo, era solo la mia verità, quella che gli adolescenti credono di poter possedere in barba agli adulti. Ma questa è un’altra storia. C’è un filo che lega me, i libri, mia madre e nonna Iris. Un filo che parte da lontano, da prima di noi. E’ proprio attraverso la lettura che sono entrati nella mia vita personaggi come Josè, Paula, Dolores, grazie alle parole scritte da I. Allende in “Paula” e da L. Sepulveda ne “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”. Non saprei spiegare come, ma è come se l’esistenza dei libri nella nostra vita avesse consolidato ancora di più, se possibile, la nostra relazione. In maniera percepibile a noi stesse più che agli altri, era come se custodissimo un segreto: quello che accadeva alla nostra mente, al nostro cuore e alla nostra anima quando leggevamo.

(continua)