A Salvatore Caliano

Il 12 giugno, nel celebrare la Giornata mondiale contro il lavoro minorile, ci si pone dinanzi a numerose altre riflessioni, del tutto avvinte al drammatico fenomeno dello sfruttamento dei bambini sul lavoro.

Quello dell’accesso al mondo del lavoro è un tema, infatti, indissolubilmente legato alle povertà, economica, educativa, culturale e agli abbandoni, familiare, scolastico, che ancora troppo spesso, anche nei cd. Stati del benessere, finiscono con il coinvolgere una larga parte dei nostri minori.

L’art. 32 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (2000) sul divieto del lavoro minorile e protezione dei giovani sul luogo di lavoro, dovrebbe, appunto, tutelare le persone minorenni non solo dallo sfruttamento sui luoghi di lavoro ma farlo con gli occhi di adulti che guardano ai loro giovanissimi. Un lavoro svolto dai più piccoli, se da un lato significa riduzione dei costi della manodopera poichè meno qualificata, dall’altro incentiva disagi legati all’abbandono scolastico, quindi, ad una minore formazione in termini culturali e, di conseguenza, minor possibilità di accesso, una volta diventati adulti, a quella fetta di popolazione che vive in condizioni di maggiore benessere.

Inaccettabile l’agire di questo mondo  adulto che tradisce, ancora una volta, i diritti, le aspettative, i sogni di occhi più giovani che, a volte,  anche per la mancanza di idonei strumenti di sicurezza sul lavoro, sono destinati, purtroppo, a spegnersi. Per sempre.

L’età minima per l’ammissione al lavoro non può essere inferiore all’età in cui termina la scuola dell’obbligo, che in Italia corrisponde a 16 anni, 15 nei casi di alternanza scuola-lavoro.

Ne viene da sè che le attività lavorative intraprese all’età di 14 anni o meno infrangono la normativa europea ma anche che nella quasi totalità dei casi, i bambini che lavorano non ricevono un’istruzione e una formazione adeguata.

Il lavoro prematuro non solo finisce col diminuire il benessere dei bambini bensì nell’aumentarne le povertà o, comunque, a tenerli soggiogati in quello spettrale vortice di costante precarietà.

Uno dei problemi essenziali resta la mancanza di eguali condizioni di base che, infelicemente, comporta scelte di natura distonica rispetto all’età: solo avere un’alternativa significa essere in condizioni di operare una scelta. Diversamente, non sarai considerato un bambino e non potrai considerarti bambino, tutelato come un bambino, con i diritti che spettano ad un bambino, così come in 168 milioni di casi accade ancora oggi.

Al 2024, infatti, nel mondo, sono 168 milioni i minori che lavorano, in totale contrasto con la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza delle Nazioni Unite che riconosce «il diritto del fanciullo di essere protetto contro lo sfruttamento economico e di non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale».

Questa 23°Giornata Mondiale Contro il Lavoro Minorile, ha come suo specifico tema la “Giustizia sociale per tutti. Porre fine al lavoro minorile!”, focus che sembra proprio volerci interrogare sulle differenze che conducono una parte della popolazione minorile, ancora oggi, a cadere nelle maglie del lavoro sommerso, sfruttato, degradante delle condizioni umane e lesivo della dignità.

Secondo i dati raccolti in “Non è un gioco”, la nuova indagine sul lavoro minorile in Italia di Save the Children, 366 mila bambini tra i 7 e i 15 anni sono coinvolti, in Italia, in fenomeni di sfruttamento del lavoro minorile[1].

Anche l’UNICEF Italia ha presentato dati allarmanti nel 1° rapporto statistico “Lavoro minorile in Italia: rischi, infortuni e sicurezza sui luoghi di lavoro“:[2] nel 2022 sono 69.601 i lavoratori minorenni 15-17 anni, in aumento rispetto ai 51.845 del 2021; inoltre, nel periodo compreso tra il 2017 e il 2021 le denunce di infortunio di minorenni sotto i 19 anni presentate all’Inail a livello nazionale ammontano a 352.140 di cui: 223.262 per i minorenni fino a 14 anni (erano 31.857 nel 2021 e 128.878 nella fascia di età 15-19 anni a fronte dei 18.923 nel 2021).

Insomma, un fenomeno in crescita sotto tutti gli aspetti, che ci pone di fronte ad interrogativi cui occorre dare risposte più incisive e anche in fretta.

Ancora una volta, il baluardo della giornata mondiale del 2024 che insiste sulla giustizia sociale per tutti sottende alle differenze che anche solo a livello nazionale si palesano drammaticamente a seconda dell’area geografica considerata. Sempre stando ai dati citati per il quinquennio in esame, le cinque regioni con il maggior numero di ragazzi fino a 19 anni occupati sono: Lombardia (240.252), Veneto (155.987), Emilia Romagna (134.694), Lazio (119.256) e Puglia (108.867), la maggior parte di sesso maschile.

Il dato che vede un minore impiego di lavoratrici di sesso femminile, mostra efficacemente come queste siano anche più istruite degli uomini, confermando il nesso fortissimo con il fenomeno dell’abbandono dei banchi di scuola.

Volendo procedere all’interpretazione di tutti questi dati, possiamo, ancora una volta, rilevare che la disparità di trattamento tra alcune regioni, in termini di aree che vedono un maggior accesso al lavoro minorile, è determinata non solo da fattori legati alle densità demografiche ma anche ai diversi tassi di scolarizzazione e alle maglie strette della povertà educativa. Divario del quale tenere necessariamente conto nel rapporto tra Nord, Centro, Sud e Isole del Paese. Se l’integrità e il rispetto delle persone minorenni sono e devono essere rispettati in tutti gli ambiti, è necessaria la redistribuzione eguale dell’accesso alle politiche sociali, finalizzate all’auspicata giustizia sociale. L’istruzione è e resta uno dei baluardi da rimettere al centro delle dinamiche dei vari territori, per promuovere e garantire la trasmissione di conoscenza, formazione e competenza anche per il futuro rapporto con il mondo del lavoro. Oggi come ieri, si avverte l’esigenza di intervenire tramite dinamiche di prevenzione su tutti i fattori di rischio contrastabili con politiche volte alla salvaguardia e alla tutela dei minorenni, nel rispetto della loro età e delle risorse, non già individuali, bensì garantite a livello collettivo e nell’ottica di corresponsabilità dei fenomeni che si distanziano da questi obiettivi.

Accudire, tutelare e formare, oggi, una persona minorenne significa anche dare a quel cittadino/a l’accesso alla conoscenza dei propri diritti e doveri, per la tutela propria e della collettività.

Avvocata Marika La Pietra, docente del Master Tutela, diritti e protezione dei minori


[1]https://www.savethechildren.it/blog-e-notizie/lavoro-minorile-italia-un-fenomeno-diffuso-ma-invisibile

[2]https://www.unicef.it/media/lavoro-minorile/

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